Antonio Moschetta è fatto così.
E’ un autorevole scienziato di fama internazionale, certo, ma è pure uno che non dimentica mai il cuore. Lo vorrebbero in tutto il mondo, ma intanto lui vive e lavora qui, credendo fortemente nei giovani.
Così, la tragedia del disastro ferroviario di due giorni fa – forse il nostro Undici settembre – non poteva non vederlo in prima linea. Lo possiamo immaginare, sempre col sorriso, fra chi, in quel momento, aveva bisogno.
Di più: per lui sarà stato normalissimo essere lì, fare il suo dovere.
Tanto grande è stato il dramma quanto immensa la risposta dei pugliesi.
Persino ieri, che ancora aleggiava un silenzio gravido di paure nei vagoni della Bari nord, le uniche parole che si potevano cogliere erano di persone che si informavano a vicenda sui centri dove poter andare a donare il sangue.
Bellissimo.
Ma torniamo a quel giorno tristemente fatidico.
Moschetta è in corsia a battagliare, come suo costume. Dopo un po’, l’emergenza è stata fronteggiata con misura e decoro.
Antonio prova a comunicarlo il dì seguente, cioè ieri, via facebook, ma non riesce a trattenere la voce del cuore.
“Ore 14.30 non servono più medici ed infermieri sul posto: siete tantissimi.
Fino alle 19 e poi stamane alle 7.30 sale trasfusionali stracolme di persone, studenti, anziani
Stamane autoparchi del Policlinico di Bari gratuiti a tutti su disposizione della direzione generale
Forze dell’ordine, 118, vigili del fuoco, cittadini“, fin qui le comunicazioni di servizio.
Poi, la fierezza che spontanea e perentoria erompe dal petto: “Questa è la nostra Puglia. Abbracciamoci. Silenzio sciacalli, non siete degni di menzionare il popolo di questa grande Regione d’Italia!“.
Sì, lo so, Antonio caro, che, essendo tu schivo, non volevi si desse risonanza a questo tuo post, ma mi dispiace dirti che sei riuscito in poche parole a riassumere alla perfezione tutto quello che abbiamo pensato noi pugliesi.
Perché noi siamo orgogliosi della nostra terra e di avere pugliesi insigni come te.