I tempi, qui alla Mostra di Venezia, sono stretti come certe callette o rieli veneziani.
A voler gonfiarsi gli occhi di bellezza, a trangugiarne il più possibile, si rimane facilmente impegolati nella viscosità di scelte difficili, sofferte.
E ogni decisione assume inevitabilmente i caratteri di una rinuncia.
La prima é facile: vado col film che apre il concorso, ovviamente.
“La la Land“, un musical senza tempo con una mdp che danza sicuramente meglio del protagonista.
Come guidatore era più credibile.
Scelte, anche qui, difficili, sofferte. Per i protagonisti, dico.
Di quelle che ti cambiano la vita e te ne accorgi anni dopo, ascoltando una melodia del cuore, un fischiettio familiare. Quando ormai è troppo tardi.
Non si poteva partire meglio: jazz, una regia matura, note agrodolci.
E a giudicare dagli applausi non devo essere il solo a pensarla cosi.
Skolimosky, Emma Stone. Gosling non c’é.
Chazelle entra tra gli applausi dei giornalisti.
É un bel tipo, ma preferisco decisamente la Stone.
Risponde composto alle domande impastate coi complimenti. E intanto il corpo reclama i suoi diritti. Si mangia alle tre e poi vai col programma.
C’è l’omaggio a Kiarostami. Ma ho visto già abbastanza, lo conosco.
Forse è meglio se riposo un po’, altrimenti alle 24 non ci arrivo.
Anzi, so già che farò molto più tardi. Esploro il palazzo del casinò cercando di capirci qualcosa.
La sala stampa è gremita di giornalisti di tutte le risme. Ansa e ansia. Tre piani di novità.
Per me che sono un novellino, s’intende. Forse è meglio il relax.
In giardino ci sono dei pouf comodissimi. Quasi quasi faccio un sonnellino.
Alle 19.30 cosa faccio? Guardo Cianfrance? Però c’è questo qui che sembra interessante. Cianfrance lo guardo alle 22, anche se volevo cenare. Un’opera prima britannica.
My Movies dice che è “un ironico slasher movie post-femminista“.
É il primo dei film scelti dalla Settimana della Critica. Ci sará sicuramente da fidarsi. O forse no? Ma che ne so. Entriamo che è tardi e c’è la fila. Ho perso tempo a prenotare i posti per domani per Villeneuve in Sala Grande. E m’hanno dato pure la terza fila. Vabbé.
Ma lo sai che sto film non m’ha fatto impazzire? Ora mi sparo 133 minuti di Cianfrance e me ne vado a letto. O meglio a scrivere qualcosa.
Però mi fermo un po’ con i nuovi amici e coinquilini sul Granviale. E si fa tardi.
E devo ancora scrivere. E devo svegliarmi presto se voglio vedere Wenders alle 9. Forse è meglio se lo guardo alle 11.
Insomma, avete capito che il primo giorno alla Mostra non è dei più semplici.
C’è da conoscere i luoghi prima ancora dei film.
C’è da affrontare come sempre i propri demoni, come la donna in gravidanza dell’esordio britannico cerca di fare con il suo.
Peccato che coincida con la bimba che si porta in grembo: una Furia vendicatrice che viene forse dalla lezione del teatro greco. Ci si immerge in un flusso di coscienza senza fine, alla Mostra.
Tormentato da ansie e pentimenti, ammantato dalla gioia radiosa del sogno di esserci, giustificato dallo scoppiettio di un sistema nervoso che cerca di stare al passo con i desideri del cuore. E con occhi famelici.
Sono le 4 del mattino e mi rendo conto che lo scoglio più grande è sempre lui: il corpo. Lo è stato per Ryan Gosling alle prese col tip tap, lo é per me alla mia prima giornata ad un festival così importante.
Un maestro come Fellini diceva che varcare le porte del palazzo del cinema al Lido è come passare un esame finale.
Io, che sono solo un alunno al primo giorno di scuola, posso soltanto augurarmi, dal vangelo secondo Eduardo, che gli esami non finiscano mai.