Un male
invisibile – cioè subdolo e pericoloso – si può curare solo con un antidoto ben visibile.
Solido.
Incrollabile.
Munito di quella forza cui solo l’unione delle persone ferite può dar vita.
Dunque,
stiamo parlando di quella piaga latente, ma molto, molto esistente che mette la
strozza (in tutti i sensi) al mondo dell’economia bitontina.
La piaga delle
estorsioni: una peste.
Da anni, in Puglia, con epicentro a Molfetta, è attiva
l’associazione Antiracket antimafia. Che ha deciso di sbarcare anche nella nostra città.
Ieri,
in una sala consiliare semivuota e perciò deludente, si è tenuto un incontro
fra i rappresentanti del coraggioso sodalizio e gli imprenditori bitontini.
“Vi assicuro che si può vivere, solo se ci
uniamo e denunciamo insieme. Se continuiamo a lottare singolarmente finiremo
per dare forza ai criminali. Anche solo pagando 50 euro di tangente, involontariamente
li legittimiamo. Perché gli imprenditori non vengono ad investire, se sanno che
qui si paga il pizzo”.
Quindi, “uniamoci
e denunciamo”, è stato il grido di battaglia di Renato Descisciolo,
presidente dell’associazione.
Presto, han preso a serpeggiare fra i presenti
dubbi e perplessità.
“Io non sono stato mai toccato dal problema, ma mi metto
nei panni di chi ha subito minacce del genere, non dev’essere facile
denunciare, soprattutto se si resta indifesi e non ci sente protetti dallo Stato”,
le parole di Nicola hanno dato la stura a tutta una serie di interventi accorati
e livorosi.
Vincenzo (come Antonio e Angela, tra l’altro) è stato impavido al punto tale da fare il nome di chi lo
aveva costretto a versare una somma in cambio di presunta serenità.
Ha seguito
lo sviluppo delle indagini ed ora sa che l’estorsore è in gattabuia.
Per questo
invita tutti a fare gruppo: “Solo così non saremo vulnerabili”.
“Qualsiasi atto
criminale è da denunciare, anche le aziende agricole, che in questi giorni
vengono prese letteralmente d’assalto, devono sapere che c’è una legge regionali
per il pizzo agricolo, in base alla quale lo Stato ripaga tutto, purché si
denunci”, ha ripreso rassicurante De Scisciolo.
Ma nel mondo del lavoro le
problematiche sono infinite.
Sarcastico Pino: “Il guaio è che noi, spesso, manco
arriviamo a lavorare. Eppoi, la denuncia nominativa rischia di mettere a
repentaglio l’incolumità della mia stessa famiglia”.
Non è un caso che si
registrino molte segnalazioni, ma poche denunce. “A Bitonto manca la mentalità
giusta, tutto va denunciato. Ho saputo che, in occasione della sua
scarcerazione, un boss è stato festeggiato addirittura con i fuochi d’artificio.
Ecco, sarebbe stato bello se qualcuno fosse uscito con un manifesto e avesse
preso le distanze da un abuso del genere”, ha tuonato il presidente e componente del consiglio nazionale del FAI.
Un altro
imprenditore ha raccontato la sua storia allucinante, tutta travagliata di
amare vicissitudini: “Un giorno si presentarono sul cantiere due ragazzi per
chiedermi danari per aiutare un loro amico che stava in carcere. Un altro
voleva 700 euro, chiamai il 113 e se la squagliarono. Mi hanno rubato 50 mila
euro di tubi Innocenti e attrezzature varie, tre mesi fa hanno svuotato ancora
il deposito e pur avendo chiamato i Carabinieri, mi fu detto che mi avrebbero
ricontattato loro. È inutile dire che li sto ancora aspettando. Ma come si fa ad andare avanti così?”.
Va bene, bisogna
crederci, però qualcuno già ha cominciato a chiudere.
D’altronde, i continui
furti, anche di piccola entità, rappresentano un messaggio neppure tanto
subliminale per farti capire che devi pagare la tangente o dare un posto di
guardiania ad un pregiudicato.
Un’ultima, dolorosa chicca, classicamente bitontina.
Nel settore edile c’è
pure qualche titolare d’impresa che acquista il materiale proditoriamente
sottratto ai suoi colleghi.
Un modo triste e meschino di alimentare la malavita e,
con tutta probabilità, di decidere il proprio suicidio economico, offrendosi al
ricatto della delinquenza…