“Bisogna creare finché non si leva il giorno”, scriveva in una lettera il compositore tedesco Robert Schumann. In questa ideale tensione si può riassumere l’intento educativo del Traetta Heritage, il progetto promosso dal Traetta Opera Festival, in collaborazione con le Feste Patronali, volto alla promozione, in contesti esclusivi, di giovani musicisti, concittadini del compositore Tommaso Traetta (Bitonto, 30 marzo 1727 – Venezia, 6 aprile 1779). A cavallo dell’ultimo weekend di Maggio, il festival ha proposto tre giovani interpreti bitontini che si sono avvicendati nei rispettivi concerti: il cornista e compositore Michelangelo Cotugno, l’organista Adriano Morea e il clarinettista, appena diciassettenne, Giuseppe Maria Francesco Cotugno. Bitonto, non ignara del valore “capitale” della cultura nello sviluppo civile, ha così fatto legittimo sfoggio, nel festivo torno di tempo delle celebrazioni mariane, dei suoi talenti musicali, come per porsi su di una concettuale, lunghissima, scia traettiana. È il direttore artistico del Traetta Opera Festival, il maestro e compositore Vito Clemente, a sunteggiarne lo spirito: « Identità e internazionalizzazione sono le parole-chiave del nostro impegno. Qui produciamo festival ed esportiamo i nostri autori all’estero. La gioventù, attiva e ricettiva, è il cardine del TOF; abbiamo il residenziale Coro Caffarelli di voci bianche, oltre ad un rapporto costante con tutti i Conservatori di Puglia e con quello di Matera, per la realizzazione di opere e di kermesse di giovani talenti ». Il concerto del 25 Maggio scorso, tenutosi a Bitonto nell’imperturbata atmosfera della Chiesa di San Gaetano, tradendo quest’istinto, e questa missione, dell’Heritage traettiano, ne è stata la riprova emblematica. Accompagnato al pianoforte dal maestro Domenico Bruno, il giovane clarinettista Giuseppe Cotugno ha saputo egregiamente interpretare l’interessante excursus proposto dalla scaletta, dai brani primo-romantici (Weber, Schumann) agli autori più recenti (Mangani, Cellamare), passando per Nino Rota, direttore per circa trent’anni del Conservatorio di Bari. Compostezza e dignità di stile, unite a una sorprendente padronanza di tema e strumento, sono l’autentico stigma della performance di Cotugno, capace di conferire all’ascolto un’onda emotiva, sulla cui cresta hanno danzato, lievi, le note peculiarmente clarinettistiche della Pagina d’album di Michele Mangani (2015), eseguita in apertura di concerto da Cotugno con divertita naturalezza e con finezza virtuosistica di solista. Stessa quieta atmosfera in 7 Variationen, op. 33 di Carl Maria von Weber, le variazioni per clarinetto e pianoforte che Cotugno ha reso con efficacia in ogni movimento, ogni mutamento di scena, in un religioso rispetto della lettera weberiana: dal melanconico al giocoso, l’accordo dei caratteri timbrici si è risolto nelle più aggraziate curve melodiche, fino all’epilogo liberatorio. Anche nei Phantasiestücke, Op. 73, di Robert Schumann (1849), composizione destinata alla Hausmusik (musica domestica), pianista e clarinettista sono riusciti nell’equilibrio di un brano complessivamente contrastato, carico di tensione iniziale, lirismo nostalgico e slancio conclusivo. Con la Sonata in Re (1945) di Nino Rota, Cotugno ha saputo fedelmente restituire al pubblico una delle pagine più riuscite della produzione cameristica del compositore milanese-barese. La “voce” del clarinetto, vezzosa e dolce nel primo tema, poi modulante e riflessiva, ha saputo assecondare il desìo di un raccoglimento intimo, prima di ripartire con rinnovato slancio e ridare spazio al pianoforte. Il finale, “Allegro scorrevole” si è incaricato di chiudere fluidamente la sonata. Il concerto si è poi concluso con le atmosfere sognanti evocate dal brano per clarinetto e pianoforte Pastelli di sabbia (2018), del giovane musicista barese Onofrio Cellamare. Bruno e Cotugno sono riusciti nell’intento di tradurre in emozione ingenua, dunque infantile e pura, le suggestioni armoniche della composizione che ha veleggiato oniricamente tra tecniche contrappuntistiche e ritmi sorprendenti, prima di ritagliarsi la serenità di un cantuccio nostalgico in cui ospitare l’eco lontana di un ricordo. « La mia unica ansia – ha affermato Cotugno prima che il concerto cominciasse – è quella di saper trasmettere al pubblico ciò che sento dentro di me. Ma io confido sempre nel pubblico ». Ecco, in questo tratto emozionale è la vera dimensione dell’artista, e in questo compito l’altezza poetica della musica.