Questa domenica, la prima di dicembre, la iniziamo con un messaggio su Facebook. Quello ricevuto dall’ex direttore di “Repubblica” e “La Stampa” Mario Calabresi. È la mattina del 3 ottobre 2019: “buonasera dott.Calabresi, la leggo con piacere perché sono legato a lei dalla perdita di una persona cara a causa del terrorismo. Mi chiamo Piero Masolo, sono prete missionario in Algeria, sono nipote di Carlo Saronio, rapito e ucciso il 15 aprile 1975. Mi piacerebbe poterle inviare una mail per chiederle consiglio su come celebrare l’anniversario dello zio. La ringrazio di cuore”.
Inizia così la ricerca e il lavoro giornalistico di una delle penne più apprezzate d’Italia, figlio del commissario Luigi ucciso da alcuni esponenti di “Lotta continua” nel 1972. Calabresi, ben presto, capisce e rintraccia di chi si parla: Carlo Saronio, sequestrato nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1975 da una banda composta da criminali comuni e militanti dell’area di “Potere Operaio”, movimento per cui il giovane stesso simpatizzava. La vittima muore a 26 anni nelle prime fasi del sequestro, per una dose sbagliata di narcotico. I rapitori, però, hanno finto che fosse ancora vivo per ottenere una parte del riscatto. Il corpo è stato ritrovato solo tre anni e mezzo dopo il sequestro.
Tutto il lavoro di ricerca (fondamentali sono state le carte che la questura di Milano gli ha messo a disposizione) è culminato nel libro, da poco in libreria, “Tutto quello che non ti dicono”, nel quale e con il quale il giornalista racconta la figura di questa giovane vittima del Terrorismo alla figlia di Saronio, Marta, che non ha mai conosciuto il papà in quanto nata otto mesi e mezzo dopo quella tristissima notte.
Chi era, dunque, Carlo Saronio? Erede di una delle famiglie più ricche di Milano, laureato in ingegneria, ricercatore all’Istituto Mario Negri, a scuola era molto bravo, pieno di talento e di fiducia negli altri, ma tormentato da un senso di colpa. Quello di essere facoltoso, e anche per questo, crescendo, sentirà il fascino delle idee rivoluzionarie. Sceglierà di andare a insegnare alle scuole serali a Quarto Oggiaro. E per finanziare i compagni di Potere Operaio arriverà a simulare il furto della Porsche che gli avevano regalato i genitori, rimpiazzata con un’Alfasud.
Ma non sa che saranno proprio quei compagni a voltargli le spalle. Un gruppo di militanti, formato da Carlo Fioroni, Maria Cristina Cazzaniga e Franco Prampolini più esponenti della malavita, lo rapisce. Perché? L’intento è chiedere un riscatto miliardario per finanziare le attività del gruppo terroristico. Ma le cose non vanno come previsto. Una dose eccessiva di cloroformio, usato per stordire la vittima, lo uccide.
I rapitori chiedono comunque il riscatto (inizialmente la cifra chiesta è cinque miliardi) che la famiglia, ignara, in parte (470milioni di lire) paga. Alla cieca e senza sapere se il figlio fosse davvero vivo. Il cadavere sarà trovato soltanto nel 1979.
I rapitori, invece, sono arrestati in Svizzera con parte del bottino, estradati e condannati in Italia, ma hanno ricevuto sconti di pena per aver collaborato.
“Occorre anzitutto precisare e stabilire una volta per tutte – è scritto nella motivazione della sentenza del 29 maggio 1981, divenuta irrevocabile – che il delitto Saronio non è un fatto di criminalità a sé stante, ma un delitto strumentale concepito e attuato secondo la filosofia dell’organizzazione, del fine che giustifica i mezzi, anche i più abietti, quando servano alla vitalità della organizzazione”.