Segniamoci questi nomi: Anthony Blunt, Donald Maclean, Kim Philby, Guy Burgees, John Cairncross.
Così, ex abrupto, sono cinque persone come tantissime altre. In realtà lo sono state, ma hanno avuto una piccola, grande particolarità. Essere stati ribattezzati “I cinque di Cambridge”, “Le cinque spie di Cambridge”, “Magnifici cinque”, e ancora “Cinque Stelle”. Non a caso, perché hanno fatto parte della combriccola di spie inglesi al servizio dell’Unione Sovietica per almeno 15 anni, in nome dell’antifascismo.
Già, quella di questa domenica è una brillantissima storia di spionaggio sovietico. Di cinque uomini che hanno passato al potente nemico di quell’epoca (ma, al tempo stesso, amico perché era in prima linea nella guerra al Fascismo e al Nazismo) gelosi segreti politico-militari, analisi economiche, progressi sulle ricerche nucleari e la decisione di produrre la bomba atomica. In un periodo in cui decine di agenti infiltrati nei Paesi comunisti sono stati “bruciati” e hanno perso la vita a causa delle loro informazioni. Loro, invece, se la sono cavata diversamente, anche perché hanno ammesso le proprie responsabilità in memoriali autobiografici. Molti dei quali pubblicati dopo la morte.
“Diventare una spia per i russi è stato il più grande errore della mia vita”, ha scritto, per esempio, Anthony Blunt, che era conservatore della pinacoteca reale inglese e affermato storico dell’arte. Le sue “confessioni”, pubblicate 25 anni dopo la morte, avvenuta nel 1983, sono ricche di molte recriminazioni e giustificazioni, ma privo di vere e proprie rivelazioni, che del resto dovevano essere piuttosto scarse, dopo le ampie confessioni rese nel 1964, in cambio dell’immunità che gli ha evitato il carcere. Tutti e cinque appartenevano alla classe agiata. Alcuni, come Burgess, erano inclini alla vita disordinata e dichiaratamente omosessuali. Altri, come Blunt in primis, hanno usato la loro posizione di tutor di francese al Trinity College per reclutare spie e ottenere informazioni da altri.
Il reclutatore delle spie, il sessuologo viennese Arnold Deutch, che predicava la liberazione politica e sessuale di Wilhelm Reich, affermava che nessuno di loro era adatto a vivere nell’Urss, ma erano perfetti per “infiltrarsi nelle istituzioni borghesi”.
Ci sono riusciti talmente bene che alcuni, come Kim Philby, si sono spogliati della patina di comunista e hanno salito i gradini del controspionaggio inglese rendendo ai sovietici servizi incommensurabili.
Come? Un ruolo di primo piano nel furto dei segreti atomici è stato ricoperto a Washington da Donald Maclean. Come membro dell’ambasciata britannica, aveva accesso all’”Atomic Energy Commission”, e non è stato difficile sottrarre documenti che sono stati utilizzati dall’Unione Sovietica per mettere a punto la bomba atomica sperimentata nel settembre 1949. Creando un enorme shock nell’Occidente.
Con le soffiate di Burgess, invece, “l’Information Research Departement”, creato con lo scopo di controbattere la guerra psicologica sovietica, è stato del tutto compromesso.
Kim Philby ha fatto fallire molti dei tentativi fatti da Gran Bretagna e Stati Uniti di inviare agenti in Russia, nei Paesi Baltici, in Albania. Le segnalazioni di Philby hanno consentito al KGB di intercettarli e catturarli.
Qualcosa è cambiata al principio degli anni ’50, e precisamente nel 1951. Con un episodio incredibile.
Il sistema di decrittazione congiunta anglo-americano “VENONA” aveva scoperto una fuga di notizie sulle installazioni nucleari alleate proprio da Washington. È stato un grande successo, perché per interpretare un messaggio sovietico era necessario sostituire a ogni parola, o addirittura a ogni lettera, un numero di cinque cifre dato da un codice. Philby doveva collaborare all’identificazione del traditore e così aveva capito che la decifrazione era stata possibile per la disattenzione di un agente sovietico, nome in codice Homer. Era la copertura di Donald MacLean.
È stata l’inizio della fine, perché poi, anche grazie, molto probabilmente, all’ausilio dei servizi segreti israeliani e altri mezzi, i cinque sono stati scoperti.
Ancora oggi, nonostante la fine dell’Unione Sovietica sia avvenuta da 30 anni, le “Spie di Cambridge”, i doppiogiochisti che hanno servito il loro Paese solamente per tradirlo, e in modo premeditato, sono ricordate con grande ammirazione dai servizi segreti russi, che continuano a onorare l’operato di cui hanno beneficiato.