Per capire chi fosse davvero Giuseppe Puglisi, bastano poche parole.
Quelle di papa Francesco il dì della sua beatificazione, il 26 maggio 2013: “Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto”.
Giuseppe Puglisi, dunque. Meglio conosciuto come don Pino Puglisi. O ancora meglio, 3P. È il primo martire di mafia della Chiesa cattolica.
È stato un presbitero che ha avuto il coraggio di tenere la testa alta contro il potere mafioso palermitano, sfidandolo a viso aperto anche durante le omelie, ma soprattutto in campo sociale.
Perché il prete nato il 15 settembre 1937 a Palermo era il parroco di un quartiere difficilissimo del capoluogo siciliano, Brancaccio, controllato dai vertici più potenti della criminalità organizzata come Leoluca Bagarella, il cognato di Salvatore Riina, e i fratelli Graviano.
Ebbene, qui, in questa zona difficilissima, Puglisi non tentava di portare sulla giusta via coloro che erano già entrati nel vortice della mafia, ma cercava di non farvi entrare i bambini che vivevano per strada, e consideravano i mafiosi degli idoli, persone che si fanno rispettare e da onorare. Egli infatti, attraverso attività e giochi, faceva capire loro che si poteva ottenere saluto e rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente grazie alle proprie idee e valori.
Restando se stessi. E senza piegarsi.
In questa maniera, Don Giuseppe ha tolto dalla strada ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto, sarebbero stati risucchiati nella vita mafiosa, e impiegati per piccole rapine e spaccio, e magari potenziali killer del futuro.
Nel gennaio 1993 è riuscito addirittura a inaugurare un Centro per promozione umana e l’evangelizzazione.
Poco prima della morte, dall’altare ha avuto il coraggio di dire parole forti. Queste: “Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e dello studio”.
A Cosa Nostra questo non piaceva affatto. E perciò ha iniziato a vederlo come un ostacolo che andava eliminato.
E, dopo una serie di lunghe minacce di morte, così è stato. Il dì del suo 56esimo compleanno, il 15 settembre 1993. Ventiquattro anni fa
Erano circa le 22,45.
Puglisi era a bordo della sua auto e, sceso dalla macchina, si stava dirigendo verso casa. Qualcuno lo ha chiamato, lui si è girato e nel frattempo un altro individuo alle spalle gli ha sparato un paio di colpi alla nuca.
A ucciderlo sono stati Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza. A ordinare l’esecuzione i fratelli Graviano, i grandi nemici del prete di Brancaccio.
Questi tre sono stati condannati all’ergastolo, così come Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che lo ha aspettato sotto casa.
Salvatore Grigoli, invece, è diventato un importante collaboratore di giustizia, ha confessato circa 46 omicidi e, parlando dell’assassinio di don Pino, ha rivelato che il prete ha sorriso al suo assassino prima di morire.
Sei anni dopo la morte, nel settembre 1999, è stata aperta ufficialmente la causa di beatificazione, conclusasi nel 2013.