Ciò di cui qui si parlerà non è uno sguardo complessivo e generale all’Esistenzialismo, ne tanto meno uno sguardo eziologico/fenomenologico: ci occuperemo di esaminare ciò che comporta una visione esistenzialistica nella pische dell’uomo. Alla base dell’esistenzialismo vi è una visione da sineddoche: ciò che l’uomo intende come “esistenza” è il suo vivere quotidiano. Asporta, quindi, il suo quotidiano rendendolo esistenza. Si analizza in quanto tale non l’esistenza, quanto invece il concetto di quotidianità: come questo viene vissuto e come questo ottenebra l’uomo. Sarebbe efficace, in merito alla comprensione concettuale di ciò, effettuare una digressione dal punto di vista storico e quindi, esaminare quando l’Esistenzialismo inizia a radicarsi. Grazie a ciò riusciremo, quindi, a capire perché la teoria esistenzialista è permeata, generalmente, da pessimismo. Abbiamo sprazzi di Esistenzialismo già a partire dal XIX secolo con filosofi come Nietzsche e Kierkegaard, per poi esplodere nel XX secolo con intellettuali come Sartre e Dostoevskij. Siamo nell’epoca del Modernismo, la quale accompagna l’uomo sino al 1945, per poi culminare nel post-modernismo. In quest’epoca vi sono molteplici scoperte in ambito scientifico e tecnologico che risulteranno talmente utopiche che l’uomo inizierà ad immaginare un futuro colmo di innovazioni fittizie che, per l’appunto, si sono rivelate infondate. Bisogna, ritornando a ciò che stiamo trattando, soffermarsi sulla figura dell’uomo intellettuale, il quale, circondato da avanzamenti scientifici e tecnologici, dal (neo)positivismo filosofico, sviluppa una tendenza marcata verso il misoneismo, ossia prova avversione verso la novità. Questo perché ripudia l’uomo medio di quel tempo, e forse anche quello contemporaneo, reputandolo dimentico di quel che caratterizza l’essere umano: l’essere, l’esserCI. Quindi, l’intellettuale, si sente chiuso in una realtà per lui aberrante: una realtà che lo stranisce e dalla quale, per questa motivazione, si aliena. La tendenza pessimistica viene appunto dal non sentirsi parte di quella collettiva umanità del XX secolo, che, al contrario di guardarsi in quanto singole persone costituenti, si guarda in quanto collettività. Questa non gode di essenza, analizzata in quanto tale: gode di essenza solo se si analizzano le singole componenti. Queste godono dell’essenza, dell’essere. L’uomo è, l’uomo è esserCI.
Simone Santamato