Tra tre settimane, l’8 e il 9 giugno, saremo chiamati ad esprimerci su cinque referendum. Anche a Bitonto il fronte del Sì cerca di farsi sentire, anche per rimediare alla carenza di informazioni proveniente da gran parte dei canali ufficiali e all’invito all’astensione da parte di importanti esponenti del governo e persino dalla seconda carica dello stato, il presidente del Senato Ignazio Larussa.
Iniziano a sorgere per le strade cittadine gazebo informativi, volantinaggi per invitare la gente a votare. Ma per votare consapevolmente, serve prima di tutto chiarezza. Proviamo quindi a spiegare su cosa esattamente ci dovremo esprimere il nostro voto.
Il primo dei referendum riguarda il lavoro e lo stop ai licenziamenti illegittimi. Si chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti con la logica del contratto a tutele crescenti del Jobs Act: più anni hai lavorato in azienda, più tutele hai se vieni licenziato. Per i promotori del Sì, abrogare questa norma, significherebbe tornare a una situazione in cui un licenziamento senza motivo valido comporta conseguenze più gravi per il datore di lavoro, come la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro o risarcimenti più alti.
Sempre sul tema del lavoro è incentrato il secondo quesito, che riguarda la cancellazione del tetto massimo di indennità nei licenziamenti senza giusta causa all’interno delle piccole imprese, indennità oggi fissata a sei mensilità. L’obiettivo del quesito referendario è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità per l’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato, affinché sia un giudice a determinare il giusto risarcimento, senza alcun limite prefissato.
Ancora al mondo del lavoro è dedicato il terzo quesito referendario che punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la piaga del precariato. In Italia circa 2 milioni e 300mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a dodici mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Il fronte del sì punta a rendere il lavoro più stabile e a ripristinare l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.
Il quarto quesito interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Un tema importantissimo, dal momento che ogni anno assistiamo ad una vera e propria strage sui luoghi di lavoro. Anche Bitonto si è spesso trovata a piangere suoi figli caduti mentre cercavano di guadagnarsi onestamente da vivere. Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi mille i morti all’anno, che vuol dire che in Italia ogni giorno tre lavoratori muoiono sul lavoro. In caso di vittoria del Sì, sarebbero modificate le norme attuali che impediscono, in caso di infortunio negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Cambierebbero le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Sarebbero abrogate le norme vigenti ed estesa la responsabilità dell’imprenditore committente, che garantirebbe maggiore sicurezza sul lavoro.
Il quinto referendum abrogativo riguarda, invece, i tempi necessari per far ottenere la cittadinanza italiana. Il fronte referendario si propone di dimezzare da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana.
Il referendum non andrebbe a modificare gli altri requisiti richiesti per ottenere la cittadinanza quali: la conoscenza della lingua italiana, il possesso negli ultimi anni di un consistente reddito, fedina penale incensurata, l’ottemperanza agli obblighi tributari, l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica.
Questa modifica, per i promotori, costituirebbe una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano, studiano, lavorano e pagano le tasse.