«D’Alema, dì una cosa di sinistra».
Chiosava così l’attore e regista Nanni Moretti nel film “Aprile” del 1998. Una frase che, da allora, è diventata una battuta iconica ricorrente, a sinistra, quando non si condividono determinate posizioni assunte dai vertici politici. Nel film, il protagonista, sconcertato dalla vittoria della destra e di Silvio Berlusconi progetta di girare un documentario sulla figura dell’imprenditore milanese.
La celebre battuta rispecchia lo stato d’animo che, nell’ultimo trentennio, si è diffuso nello storico elettorato di sinistra. Uno stato d’animo che racchiude smarrimento dell’identità politica che aveva contraddistinto la sinistra nei decenni precedenti. E racchiude la crisi di legittimità che ha colpito partiti e dirigenti politici, in particolare di sinistra, sin dall’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica.
«La sinistra ha tradito il popolo» è uno dei leit motiv ricorrenti in questi ultimi decenni e sdoganati dalla destra. Si tratta di una visione semplicistica e superficiale, ma talmente vincente da essere fatta propria anche dalla stessa sinistra, che la utilizza spesso per autoflagellarsi cercando un colpevole e una spiegazione semplice alla crisi che, da diversi decenni, l’ha colpita. Una visione che però non tiene conto della storia degli ultimi cinquanta anni, che dice ben altro. La sinistra ha semplicemente perso la sua egemonia culturale, sopraffatta dall’avanzata neoliberale e neoliberista, dalla fine dell’Unione Sovietica e dalla capitolazione dei partiti della Prima Repubblica. Da lì in poi, una costante ricerca dell’identità perduta.
Facciamo un salto temporale e veniamo ai giorni nostri.
Le ultime primarie, rovesciando il voto dei circoli, che aveva sancito la vittoria di Stefano Bonaccini, hanno portato alla guida del principale partito di centrosinistra una giovane leva: Elly Schlein, già europarlamentare e vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, prima donna ad arrivare alla segreteria Pd.
Un tentativo di dare al partito una svolta più identitaria, come è successo a destra con Giorgia Meloni? Sicuramente, almeno stando alle intenzioni della gran parte dell’elettorato, spesso stanco di 30 anni di tentativi di convergenza al centro dettati dal sistema maggioritario, che hanno portato ad una continua perdita di identità, come sottolineò qualche mese fa anche Luciano Violante, invocando un ritorno al proporzionale.
Un risultato in gran parte dettato dalla volontà dell’elettorato più giovane che vede in Schlein una leader più vicina, anagraficamente e politicamente, alle loro istanze? Sicuramente è vero anche questo.
A lei, alle primarie 2022, andò il 53,8% delle preferenze nazionali. Bitonto, invece, si rivelò pro-Bonaccini. Dei 529 votanti, in 288 optarono per il governatore dell’Emilia-Romagna, mentre 231 hanno sostenuto Schlein.
L’avvento della giovane Elly Schlein ha, tuttavia, in sé anche elementi di criticità che, negli ultimi decenni, hanno afflitto la sinistra. A partire da un populismo giovanilista che ha spesso afflitto la sinistra (ma non solo) nei decenni più recenti. Un giovanilismo che liquida la cosiddetta “vecchia politica” come qualcosa di totalmente e intrinsecamente negativo e invoca nuovi leader più vicini alla loro immagine, alle loro istanze. Leader da scegliere, magari, attraverso le primarie, la cui genesi profondamente populista e antipolitica l’abbiamo già analizzata in passato, sottolineando come questo tipo di selezione sottragga potere decisionale ai già deboli partiti politici, delegandolo al “passante”, al vago popolo delle primarie, in gran parte disinteressato alla partecipazione attiva nel partito.
Diversi sono stati i movimenti sorti negli anni in contrapposizione alla classe dirigente di sinistra. Dal Movimento dei Girotondi del già citato Nanni Moretti, attivo nel 2002, alle Sardine, dal Popolo Viola al movimento Occupy Pd, di cui la neosegretaria, nel 2013, fu tra i leader, insieme a Pippo Civati. Movimento, quest’ultimo, che si oppose alla scelta di Bersani di appoggiare l’elezione di Franco Marini a presidente della Repubblica. Una scelta vista come frutto della vecchia politica e di un inaccettabile accordo a favore di un vecchio democristiano. Alla proposta di Marini si opponeva quella di Stefano Rodotà, un intellettuale radicale e libero da costrizioni partitiche, fautore dei diritti civili e delle rivendicazioni giovanili libertarie e di sinistra, contro la precarietà e per la laicità dello Stato. Il movimento fu appoggiato anche da Nichi Vendola e portò non solo alla sconfitta politica di Marini, ma anche alla morte del progetto di Bersani di ricostruire il Pd come un tradizionale partito socialdemocratico strutturato territorialmente. Seguirono le sue dimissioni dalla carica di segretario, che portarono il partito sotto la guida di Matteo Renzi e delle sue ricette neoliberiste.
Torniamo a breve su quest’ultimo argomento. Ritorniamo, ora, su un altro aspetto critico della sinistra di Schlein, espressione di un radicalismo eccessivamente incentrato sui diritti civili, tanto da dimenticare talvolta i diritti sociali. Un radicalismo che, sebbene appoggi giustamente le rivendicazioni di alcune categorie più deboli o svantaggiate, talvolta non si accorge di possibili conflitti con i diritti sociali (è il caso, parere di chi scrive, di questioni come la maternità surrogata che rischia di produrre nuove forme di sfruttamento economico e sociale, per garantire un diritto richiesto dalla comunità omosessuale).
Ad ogni modo, la scelta di Elly Schlein non è altro che un nuovo tentativo della sinistra di ritrovare la legittimità perduta ormai da tanto tempo. In fin dei conti, è di questo che si tratta, sin dalla fine della Guerra Fredda e del Pci e dalla crisi politica degli anni ’90.
Con la fine della Guerra Fredda, venne definitivamente meno quell’orizzonte ideologico per che, quasi mezzo secolo, era stato un punto di riferimento per la sinistra. Non sempre condiviso totalmente, ma comunque un punto di riferimento stabile. Con esso, venne meno una parte dell’elettorato che non si sarebbe riconosciuta nei partiti nati successivamente al ’91, quando si concluse anche l’esperienza del Partito Comunista Italiano, con la svolta della Bolognina che portò all’avvio del Partito dei Democratici di Sinistra, poi divenuto semplicemente Democratici di Sinistra.
Al Pci, seguirono quasi tutti gli altri partiti che erano stati protagonisti della Prima Repubblica, in un clima fortemente antipartitico e antipolitico. Politica e partiti, per l’opinione pubblica, erano diventati sinonimo di corruzione e di malaffare. Non più l’avanguardia delle masse, che ha mille occhi e non può essere distrutto, come Bertold Brecht aveva definito i partiti. Non più il «cavallo di Troia nella cittadella borghese» dello storico Paolo Spriano. E neanche forma di organizzazione più elevata e intellettuale collettivo, per usare le parole di Gramsci. Venendo meno il ruolo storico dello strumento partitico, venne meno un altro tratto distintivo importante per la sinistra. Che, dunque, da allora, è in cerca di nuova legittimità per ovviare a quella perduta. Un tema su cui scrisse anche Piero Ignazi, parlando, a proposito dei nuovi partiti, di “forza senza legittimità”.
Da allora, costante è stata la ricerca di nuove identità e legittimità. E così la sinistra si è ritrovata ad inseguire prima il movimento referendario che spingeva per l’adozione del sistema elettorale maggioritario. Poi la magistratura di Tangentopoli, nonostante fosse permeata dal clima antipolitico che identificava i partiti politici come naturale fonte di corruzione. Poi, sconfitta dall’avvento di Berlusconi e trovando in quest’ultimo un nuovo avversario comune, ha abbracciato un antiberlusconismo che, con il tempo, ha finito col divenire fine a sé stesso, portando a coalizioni innaturali unite dal solo obiettivo di sconfiggere il populismo dell’imprenditore milanese. O ha spinto parte della sinistra a tentare di emulare il leaderismo del Cavaliere, inseguendo nuovi leader e cavalcando vecchi e nuovi media, in particolar modo, prima internet e poi i social network. Sono nati, negli anni, leader che, forti del loro seguito, hanno portato anche a sinistra partiti personali come Forza Italia di Berlusconi: Sel di Nichi Vendola, Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, per elencare i principali.
Nel 2008, ancora un tentativo di dare un nuovo volto alla sinistra fu la fondazione del Partito Democratico, che però, nato dalla fusione di partiti eredi di tradizioni diverse, ha sempre avuto difficoltà a trovare una propria identità, passando dalla videopolitica di Veltroni alle ricette neoliberiste di Renzi, che fecero del Pd un partito mediatico e personale.
E per tentare di raggiungere i più giovani, abbracciando una politica fortemente incentrata sui diritti civili, sulla lotta contro le disparità di genere. Talvolta a discapito di quelli sociali, dimenticati dall’egemonia neoliberale e neoliberista che si è diffusa a partire dagli anni ’80 e che ha trovato spazio anche a sinistra.
Indebolito il mito di Berlusconi, a vantaggio di altre forze del centrodestra, il centrosinistra ha poi tentato una nuova via per la legittimità nel sostegno ai governi tecnici o nei governi di larghe intese atti a contrastare i populisti e i sovranisti. Non disdegnando neanche alleanze provvisorie con il vecchio avversario Berlusconi. O con gli arcinemici del Movimento 5 Stelle, finendo pure per appoggiare il taglio del numero dei parlamentari, riforma profondamente populista che ha ridotto la capacità del parlamento italiano di rappresentare la cittadinanza. Un’alleanza finalizzata, ancora una volta, ad evitare l’arrivo al governo dei populisti sovranisti. Obiettivo rivelatosi vano.
A livello locale, la sinistra ha cercato forza e legittimità nell’alleanza con il civismo e la Puglia del cosiddetto “modello Emiliano” è stata un laboratorio in questo senso.
La figura del sindaco, percepito come la figura più vicina al cittadino, è stata poi un altro strumento da sfruttare per recuperare la legittimità perduta. Sin dall’introduzione dell’elezione diretta, ma con una nuova spinta in tal senso negli ultimi anni, in cui abbiamo assistito alla propaganda di sindaci di Puglia, sindaci d’Italia. O a classifiche dei sindaci più popolari dello Stivale (a proposito, parleremo a breve della figura di Antonio Decaro). Abbiamo dunque assistito all’avanzata di nuovi sindaci e presidenti di regione sempre meno legati a partiti politici e sempre più forti di un consenso popolare coltivato attraverso web e social network e di un rapporto diretto coltivato con i cittadini, senza intermediazione.