Cari lettori e lettrici dopo il lungo percorso dedicato
alla genitorialità, da quest’articolo spostiamo il focus d’attenzione sul bambino e sul percorso evolutivo che lo vedrà tappa per tappa diventare uomo. I primi tre anni
di vita sono il periodo più “denso” e importante dell’intera vita: si
apprendono molte cose, si elaborano stati emotivi e si gettano le basi della personalità adulta, con un’intensità che non è pari ad
alcun’altra fase della vita. Al momento
della nascita, mentre gli altri organi fondamentali (cuore, reni, polmoni …)
sono sostanzialmente simili a quelli dell’adulto, il cervello e il sistema nervoso in generale,
non è completo: la corteccia cerebrale
presenta una scarsa connessione tra le sue cellule, ed entro i due anni di vita
arriverà al 75% del suo sviluppo. Un secondo processo importante è la
mielinizzazione , cioè lo sviluppo della guaina che ricopre il midollo spinale
e che presiede alle funzioni di controllo della parte inferiore del corpo.
Anche questa funzione sarà quasi completamente funzionante intorno ai due anni.
Da queste informazioni si deduce cosa il neonato non sa fare (non parla, non
cammina, non ragiona in senso logico e soprattutto non distingue la madre e il
padre dagli estranei). Ma, ci colpiscono anche le sue capacità, che sono poi
quelle che gli saranno indispensabili per la sopravvivenza: sente i suoni e le
voci, vede gli oggetti posti a circa 20 cm. dal suo viso (può fissare la madre
mentre lo allatta), piange quando ha bisogno di accudimento, e rinforza costantemente i genitori quando lo prendono
in braccio, acquietandosi se lo cullano e imparando presto a sorridere; Tutte
queste tendenze innate aiutano il bambino a incentrare l’attenzione sulle
persone che lo circondano, a farle avvicinare e a far sì che sviluppino
attaccamento nei suoi confronti. Ovviamente questo non è un processo
intenzionale o cosciente, ma è un sistema meravigliosamente integrato nel quale
le capacità percettive e fisiche del neonato e la sua capacità di acquietarsi,
contribuiscono tutte insieme ad agganciare i genitori alle cure e
successivamente all’attaccamento reciproco.
Al momento della nascita, il bambino subisce un trauma
notevole, passando da una condizione ideale in cui i suoi bisogni venivano
soddisfatti automaticamente, senza che lui provasse alcun disagio e senza dover chiedere niente a una
situazione terrorizzante in cui sente il caldo e il freddo, il fastidio di
essere sporco, prova i morsi della fame, senza sapere come porvi rimedio e
senza sapere che qualcuno a lui vicino, lo aiuterà .
Il neonato fino a un attimo prima della nascita, era
fisicamente tutt’uno con la sua fonte di sopravvivenza, cioè la madre, e ha
inizialmente difficoltà a comprendere di esserne stato separato al momento del parto. Solo la ripetizione dell’evento in
cui si sente correttamente accudito, gli permetterà di non essere sopraffatto
dall’aspetto emotivo del disagio vissuto
e di elaborare correttamente le complesse informazioni che gli giungono
dall’interno e dall’esterno, così da accrescere il bagaglio di esperienze,
maturare, imparare a chiedere. Lo strumento del pianto è inizialmente l’unico in mano al neonato per comunicare. Il
bambino ci dice sempre qualcosa quando piange e dalla capacità e allenamento
all’ascolto, che la persona che si occupa del bambino può affinare l’efficacia
dei suoi interventi di cura.