Nel museo archeologico di Sassari è
conservata una stele iscritta rinvenuta nel lago Baratz, nei pressi di Porto
ferro (Comune di Alghero), nel 1982.
L’epigrafe è datata al I secolo a.C.
documenta l’esilio forzato di bitontini ribelli, molto probabilmente a seguito
della guerra combattuta nel 90 a.C. dalle città socie di Roma che insorgono
contro la capitale e ben presto soccombono l’anno seguente, sconfitte dal
generale romano C. Cosconio.
La stele, un parallelepipedo di arenaria
con testo disposto su tre linee, alta cm
62, larga cm 43 e spessa cm 22, riporta disposta su tre registri, la seguente
iscrizione: Sodales buduntini fecerunt (hoc monumentum).
La stele, riportabile al più tardi alla
seconda metà del I secolo a.C. su base paleografica, è posta da una sodalitas di Buduntini, originari di Butuntum in Puglia.
La lontananza dalla terra di provenienza e
la consistenza del numero dei rifugiati fa pensare che non si tratta di un
gruppo di ribelli allontanatisi dalla propria città in tutta fretta, all’ultimo
momento, per sfuggire ad eventuali rappresaglie di un nemico che sta per
conquistare un territorio, o prendere una roccaforte, bensì di un viaggio
organizzato da un gruppo di persone, pianificato nei particolari, magari a
bordo di una nave partita dal porto di Santo Spirito, all’epoca approdo marino
di Bitonto. Il viaggio verso la costa occidentale della Sardegna, all’epoca, doveva essere tutt’altro che agevole e non poteva essere organizzato nei porti
del Tirreno, date le difficoltà per un eventuale trasferimento per via terra di
un folto numero di persone in un territorio nemico, sotto il controllo di Roma.
Probabilmente si tratta di interi gruppi familiari costretti all’esilio per
aver parteggiato contro i vincitori della contesa. I sodales biduntini sicuramente erano gente acculturata, ne fa fede
l’iscrizione, esperti dell’arte muraria, fecerunt,
e nostalgici del proprio paese d’origine, visto che sentirono il bisogno, al
termine del lavoro di costruzione, di apporre il sigillo di fabbrica, pertramandare ai posteri la loro presenza.
Dopo la fine della guerra sociale e la
definitiva conquista delle città ribelli da parte di Roma, la soluzione trovata
per la gestione dei centri pervenuti all’interno della sfera romana fu la
nascita di un nuovo tipo di confederazione, intesa non come alleanza fra più
città, ma come alleanza di singole città alla potenza dominante, ossia quella
romana, con la creazione del regime municipale. In questa occasione, infatti, a
Bitonto fu concessa lo status di civitas
sine suffragio. Nello specifico in questo caso ai cittadini spettava la
doppia cittadinanza, quella del loro luogo d’origine e quella romana e i municipi mantenevano virtualmente la
loro indipendenza, tranne che per gli affari di politica estera, per i quali
dovevano fare capo a Roma. Ai suoi esordi questo ordinamento non aveva diritto
di voto attivo e passivo. I cittadini erano tenuti a fornire truppe (il loro munus “dovere”, da cui municipium) ed a ricevere le ispezioni
dei prefetti romani. Gli italici, grazie al grande mezzo di coesione
dell’esercito e della partecipazione militare, conservarono l’indipendenza e
accettavano di buon grado l’ingerenza di Roma, se ciò voleva dire condividere
tutti i vantaggi che derivavano dallo stare dalla parte di una grande potenza
in ascesa.
Nel municipio esercitavano i loro doveri i quattuorviri, ossia quattro magistrati. Due,
detti giurisdicenti, presiedevano
assemblee e comizi, avevano ampie competenze amministrative e poteri giudiziari
su controversie entro i 10.000 o 15.000 sesterzi, gli altri due, detti edili, si occupavano dell’edilizia
pubblica e della polizia e organizzavano l’approvvigionamento e i giochi.
Duravano in carica 5 anni. Una testimonianza della presenza di tali
amministratori è l’epigrafe ritrovata nel 1983 sullo zoccolo del secondo
pilastro della navata laterale sinistra della Cattedrale. L’incisione delle
lettere, malgrado l’usura (per secoli sarà stata usata come basola
pavimentale), è abbastanza curata e allineata: (…L)UCANIUS CEIA (…III)I VIR QUI
(…) VIXIT ANNOS (Qui giace Lucanio Ceia,
quadrumviro quinquennale, il quale visse anni…). Trattasi di un reperto
erratico, di reimpiego, ma senza dubbio di provenienza locale, sia per la
qualità del materiale, che per i riscontri toponomastici. Figlio di Ceia (dalla
quale deriva il cognomen) apparteneva
alla gens Lucania, attestato in altre
epigrafi della regione. A tale riguardo è significativo che il nome appare sino
ad oggi nel toponimo Lucaniano o Caniano, un grande appezzamento rustico sul tratto Bitonto-Ceglie.
Come si evince dalle notizie sopra
riportate, Bitonto è stata nei secoli una città importante nel panorama storico
della nostra regione e ha preso parte attiva alla vita politica dei suoi tempi.