Oramai è risaputo: il nostro futuro, o meglio il futuro
dei giovani, è nel digitale! È in atto già da qualche decennio la cosiddetta “rivoluzione
digitale” che le prossime generazioni saranno chiamate a vivere e a supportare;
ci si prepara quindi ad affrontare il discorso di come educare, già dalla
scuola e dal mondo dell’istruzione di base, ad acquisire quelle competenze
necessarie per la digital trasformation (“trasformazione
digitale”).
La scuola dovrebbe anzitutto insegnare ai ragazzi ad
affinare i ragionamenti di logica e a padroneggiare il pensiero computazionale,
vale a dire quegli strumenti che, a prescindere dai diversi linguaggi di
programmazione che potranno cambiare nel tempo, rappresentano le fondamenta su
cui si regge il mondo dell’informatica.
Anche la nuova riforma della scuola prevede, tra le
altre cose, l’insegnamento dell’informatica nella scuola primaria. Molti miei
amici e colleghi, non a caso, mi hanno chiesto e continuano a chiedermi cosa
fosse il coding, termine ormai abusato in questi ultimi
mesi. Chiariamo subito: in ambito informatico il termine significa
semplicemente programmazione,in altre parole la scrittura di un
“algoritmo” (o “programma” appunto), cioè di una sequenza di istruzioni che,
eseguite da un calcolatore, danno vita alla maggior parte delle meraviglie
digitali che usiamo quotidianamente.
Permettetemi ora una personale divagazione sull’uso dei
termini stranieri: essi ben vengano qualora non esista un corrispettivo in
italiano ma, per diamine, se invece esiste – come nel nostro caso – perché non
preferirlo all’altro? Quantomeno per non complicarci la vita, oltre che per
senso di patriottismo; in fondo la lingua è una delle massime espressioni
dell’identità sociale e culturale di un popolo. O mi sbaglio?
Ma torniamo a noi: allo stato attuale, mi chiedo, la
scuola italiana – soprattutto quella primaria – è in grado di far apprendere ai
propri alunni i fondamenti logici del pensiero computazionale? Per cercare una
riposta farò riferimento ad un articolo scritto da Walter Vannini
su techeconomydove, tra l’altro, si afferma un
concetto importantissimo: «L’informatica non è il
codice, ma la comprensione del problema che ne rende possibile la
scrittura. […] Poi la soluzione che vogliamo realizzare dovrà essere espressa
in termini assolutamente precisi, perché è da una macchina che cerchiamo di
farci capire. E la macchina ha sempre ragione perché esegue i nostri ordini,
non le nostre intenzioni».
Quindi vorrei concludere questo mio articolo con un
concetto molto semplice: se non comprendiamo appieno le fondamenta culturalie scientifiche dell’informatica che sono alla base delle tecnologie
digitali, soprattutto in Italia si rischia, ed aggiungo con molto rammarico, di
essere solo consumatori passivi di tali tecnologie invece di essere
protagonisti e quindi partecipi del loro sviluppo.
Sperando di esservi stato
utile anche questa volta, vi ricordo che potete contattarmi al seguente
indirizzo e-mail: michele.savino.51@gmail.com