Stavo per andar via dal mare, distratta, infastidita dalla
salsedine e dall’afa quando ho fatto caso ad un avvenimento importante: un
adolescente aitante e muscoloso aveva in braccio un ragazzo mingherlino,
bianchiccio, paraplegico. Assieme ad una donna, probabilmente la madre, si sono diretti verso la battigia, hanno
appoggiato il ragazzo delicatamente in un salvagente colorato e lo hanno
lasciato libero di andare. Lui nuotava, cercava di muovere le gambette sottili
per allontanarsi. Aveva le braccia adagiate
sui lati del salvagente e spingeva. Si dimenava, provava ad allontanarsi dalla
riva, l’entusiasmo era tangibile anche da me che mi ero fermata a guardare
tutta la scena dall’alto del parcheggio, assieme ad una mia amica. Siamo
rimaste in silenzio solo per qualche secondo. Poi quando abbiamo capito che
abbiamo condiviso una di quelle scene che avrebbero da insegnare tanto a noi
privilegiati borghesi perennemente insoddisfatti, abbiamo rotto quel silenzio tramutato in imbarazzo
con un “Che tenerezza”, perché si sa,
del silenzio si ha paura.
Sembrava un quadro ai
limiti del paradosso. Mentre vedevo i gesti susseguirsi, il mio intelletto
cercava di comunicarmi anomalia, quella manifestazione non era tipica di un
adulto ma di un infante. Le immagini si scambiavano velocemente come i
fotogrammi di un film. Ho immaginato la stessa e identica scena ripetuta quando
il ragazzo avrà avuto 2-3 anni, quando il salvagente è necessario e il bimbo è
felice. E ho ripercorso velocemente ogni estate immaginando la stessa identica
manovra di accompagnare il proprio figlio al mare, farlo sguazzare in acqua,
nuotare un po’ ché l’acqua e il sole fanno bene. Con la stessa premura e
apprensione, solo con un ragazzo che avrà avuto 28 anni. Un anatroccolo
gigante.
E allora ho pensato al movente che spinge una madre ad avere
la stessa cura di quando suo figlio non aveva comunque autonomia ma pesava 50 kg in meno e non portava
un 44 di piedi. Ho pensato a quella forza che muove il mondo . C’è ancora un
motivo per sorridere e per darci calma e motivazione, per farci essere
solidali, per tornare a casa con altre consapevolezze. Per farci rimboccare le
maniche senza lamentarci. Per farci capire che
il silenzio a volte è la migliore delle soluzioni e la maggior forma di
rispetto. C’è ancora che un’illusione che non procura il pane o un lavoro, ma è
il plagio più bello che ci sia: l’amore.
E allora mi sono venuti in mente esempi di persone che non
saranno mai citati nei libri e probabilmente trascorreranno la loro vita
pensando di esser passati inosservati. Qualcuno potrà riconoscerli. Voglio
ricordare il signor Giuseppe, che a 70 anni vende fazzolettini e salviettine
sulle scalette di Quintino Sella a Bari, a volte cede anche santini in cambio
di un’offerta. Chi frequenta quella zona lo ha sicuramente
incontrato. È ogni giorno dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 17.30 lì
sulle scale. A pranzo e a cena mangia alla mensa comune, poi la sera torna in
una stanza che divide con un altro anziano, uno che parla sempre e troppo a suo
dire, pagando un affitto al “padrone “ di 150 euro al mese. Non ha moglie né
figli. I suoi parenti sono tutti morti. La solitudine è davvero orribile, penso
io.
Compiaciuto come un bambino che mostra fiero le sue figurine
da collezione mi fa vedere le sue
numerose tessere con agevolazioni per trasporti, coupon per supermercati, carta
di invalidità civile. Dice di voler lavorare per arrotondare la pensione di vecchiaia
e potersi comprare qualcosa. E mi sono sentita arrogante e presuntuosa quando
ho pensato che io probabilmente non avrei fatto quel lavoro a 70 anni, che a 70
anni mi immagino su una comoda sedia a dondolo coi miei nipoti a leggere le
fiabe. E che non ho alcun diritto di provare pena per questa gente.
Poi ho pensato ad un uomo che ho sempre visto da lontano nel
Policlinico. Lui vende libri trasportandoli in pile alte unicamente sulle
braccia e anche in un borsone enorme monospalla. Avrà con sé ogni volta una trentina di kg di
libri, gira fra i reparti cercando clienti. Si muove
senza un mezzo, esclusivamente a piedi e sempre col carico, senza mai fermarsi.
L’ultimo avvistamento risale a un mese fa, quando c’erano 30 gradi e lui aveva
la camicia, e io ho immaginato se avesse una famiglia a carico, quanto potesse
mai racimolare vendendo quei libri, se ci fosse qualcuno che li comprasse, se
c’è ancora qualcuno che legge, se veramente lui credesse nel potere salvifico
della lettura.
Ho pensato anche ad un altro uomo. Chi non vive nella mia
città non lo avrà mai visto. Era un uomo molto anziano magro, basso e
senza denti; vendeva rose e piantine all’angolo fra via Ludovico d’Angiò e via Matteotti. Solo dopo la sua morte ho saputo che non era
di Bitonto, prendeva ogni giorno l’autobus e restava all’angolo tutta la
giornata cercando di attirare i passanti. Ma quello è un incrocio veloce e gli
unici –improbabili – acquirenti erano gli studenti dell’ITIS che gli passavano
accanto. Non ho mai scordato il suo
volto, mi chiedevo come facesse a restare lì per ore senza stancarsi mai, da
solo, indifeso. Sempre dopo la sua morte ho saputo che veniva picchiato dal
fratello minore appena tornato a casa qualora non fosse riuscito a vendere il
carico di rose. Mi sono rimproverata di
non avergli chiesto se avesse bisogno di qualcosa molte volte.
Loro non sapranno mai di aver lasciato un segno, eppure mi
sento debitrice per il messaggio che hanno trasmesso pur inconsapevolmente. Le
parole sono importanti, ma spesso i gesti hanno un potere molte volte
superiore. Io sono certa che in ciascuno
dei loro gesti ci fosse amore. Amore per i propri figli, per la propria famiglia, amore verso se stessi,
amore verso la vita. E mentre in politica s’ammazzano, gli indici ISTAT si
rincorrono, mentre il pessimismo ci guida, c’è ancora un impeto silenzioso che
anima le vite e le riempie. C’è sempre e per sempre ci sarà una forza che
conferisce alle azioni fatte col cuore un valore senza tempo. Chissà che anche
i nostri gesti d’amore vengano captati da qualche osservatore distratto
cambiandogli così la giornata! Voglio ancora pensare, quando sono affranta, ad
un giovane uomo paraplegico che nuota
con tutte le proprie forze, e a provare gratitudine per ciò che ho. Il
salvagente colorato delle nostre giornate è in brevi, intensi momenti. Basta
solo essere attenti.
L’amore è inevitabilità.