Scelgo
questo romanzo per distrarmi, ma anche la distrazione è riflessiva. Apprezzo la narrativa trasparente di
leggerezza sana, dove cuore e amore fanno sempre rima.
E, dunque,
ci sono anch’io nella casa vacanze a Villerude in avenue des Pins 57.
Incontro
Rose Millet, 33 anni, alla ricerca della gioia.
Il successo
come violoncellista, il fidanzato tenero e scontato, i contratti doverosi nei
teatri di tutto il mondo, per la protagonista, rappresentano solo una copertura
affascinante del suo vuoto interiore.
Incontro
Antoine, proiezionista di pellicole cinematografiche e tuttofare, amante
infelice, uomo indeciso, con la passione per la costruzione di giocattoli con
pezzi riciclati.
Antoine
sente e ascolta spesso lo spettro di Camille, il defunto proprietario che
continua ad aggirarsi nel cinema. Il fantasma di Camille, più che un disturbo
di percezione, in fondo, non è altro che Titi, la parte libera e vivace di
Antoine.
Ed è in
questo luogo interiore che Rose e Titi, amici d’infanzia, dopo tanti anni,
possono rincontrarsi. I due si riconoscono, ricordano, riannodano fili e
segreti e si innamorano ognuno/a di sé, dell’altra/o, della storia d’amore
possibile, adoperandosi con tutte le forze nell’attività di salvare il prezioso
violoncello di Rose e il vecchio cinema di paese.
Una nota
stonata è, a pagina 14, il riferimento al film di Tornatore: che bisogno c’è di
assicurare chi legge che la storia raccontata non c’entra con Cinema Paradiso?
Aleggia l’idea vaga, di poter comprare libertà vendendo competenze e pezzi di
vita e la convinzione che <volere è
potere> e che <basta l’amore>,
e la certezza, ancora più rovinosa, che <ognuno
è artefice del proprio destino>.
Ma nelle favole l’attesa vale,
perché l’amore di sempre torna.Aspetta il momento giusto, ma torna.
Un libro
per continuare a raccontare storie, per non morire di fatica, per credere che
il romanticismo è questo, meno faticoso dell’altro, quello filosofico e
letterario.
Un romanzo
musicale e carino (aggettivo che permetto a me di usare solo perchè ricattata
dai ricordi).
Un pensiero
dedicato a chi quel violoncello, nella soffitta di Avenue Louise, lo ha suonato
per me: preludio della Suite n.1 di Johann Sebastian Bach.
“… Jhon! Mi dici sempre che ho le
spalle troppo rigide, e sai perché? Perché ho paura di non riuscire a essere
come ho promesso e ogni mattina mi sveglio con questo pensiero…” p.32
“Penso che l’ispirazione sia riuscire a
identificarsi con ciò che si fa. Nell’antichità, i Romani credevano che dentro
ognuno di noi ci fosse uno spirito divino, una specie di guida che ci
suggerisce cosa fare. In fondo l’ispirazione è quel momento magico in cui siamo
in armonia con noi stessi e con il nostro spirito divino” p.132/3