La neo Presidenza Trump ha inaugurato l’ultima guerra che mancava all’appello sullo scacchiere mondiale: la guerra commerciale.
Espressa nella formula metaforicamente e volgarmente allusiva di “saranno dazi amari per tutti”, questa guerra ha bruciato in pochi giorni migliaia di miliardi di euro, con le borse mondiali in picchiata libera, merci dirette verso gli Stati Uniti ferme nei paesi di origine, un caos planetario ben rappresentato dall’immagine iconica di Trump che d’un tratto è comparso davanti ai media agitando il cartello dei dazi da applicare, Paese per Paese.
Se poi è vero, come dicono i più, che la guerra commerciale precede altro genere di conflitti, vorrà dire che abbiamo intrapreso una pericolosa escalation, di cui non è dato di scorgere una fine pacifica.
Quanto alle ragioni che avrebbero scatenato la politica dei dazi americani non è dato sapere, a meno di non restare alle affermazioni del tycoon della Casa Bianca, secondo il quale occorrerebbe riequilibrare a favore degli U.S.A. la bilancia commerciale con gli altri Stati europei e asiatici: tra questi l’Italia, se è vero che il nostro Paese vanta nei confronti degli USA un export di 67 miliardi di euro di beni made in Italy, a fronte di un import di 14 miliardi di euro di beni americani. Secondo altri, si vorrebbe costringere, attraverso i dazi, le imprese straniere a delocalizzare la produzione negli States così provocando la crescita in loco dei posti di lavoro.
Ma chissà se il gioco vale l’impresa visto che i primi ad essere danneggiati saranno i consumatori americani e poi a ruota anche quelli esteri, stretti tra la recessione e la crescita dell’inflazione. La guerra commerciale si aggiunge a tutte le altre guerre in corso, da quelle territoriali con decine di focolai sparsi a quelle elettroniche e satellitari, da quelle di religione a quelle etniche.
E’ il periodo storico delle autocrazie, liberali americani e sinistra europea si trovano ancora una volta attoniti di fronte ai milioni di persone in ogni continente che continuano a scegliere piccoli e grandi Trump. Ma come se ne esce da queste crisi? La storia ci insegna che nei momenti cruciali una singola persona può fare la differenza: nel 1962, con la crisi di Cuba, il mondo precipita verso la guerra nucleare, la catastrofe viene evitata solo grazie alla decisione dei due leader, John F. Kennedy e Nikita Krusciov, di fidarsi l’uno dell’altro contro il parere dei rispettivi consiglieri e con la mediazione di Papa Giovanni XXIII.
Gli eventi di oggi sembrano riportarci all’epico romanzo di Tolstoj, alla fondamentale contrapposizione tra il mondo umano della pace e quello storico della guerra, ciascuno dei quali mette in scena i suoi personaggi: umani e veri i primi, caratterizzati da passioni e dubbi laceranti, da smarrimenti ed errori, e da un profondo attaccamento alla vita; storici ma senza alcun rapporto con la realtà i secondi, siano essi Napoleone, Alessandro I o il ministro Speranskij, tutti infinitamente lontani dalla vita concreta e prigionieri del proprio ruolo pubblico, e tuttavia accecati dal senso di onnipotenza e dalla certezza di poter determinare, da soli, il corso della storia.
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