E’ vero: un
giornalista – o un “rubrichista” nel mio caso – non dovrebbe esprimere giudizi
di valore su quello che scrive, ma devo dire che sono particolarmente
affezionata all’argomento di cui mi accingo a discutere.
Parlo infatti del
Contratto a Progetto, il tanto odiato ed evitato.
Ci sono affezionata
perché è stato il mio primo contratto, il primo per molti immagino, e spero per
tutti, non l’ultimo; è la tipologia
contrattuale che propongo e che in qualche modo “vendo” quotidianamente, forse il
più diffuso, ad oggi, nel mondo del lavoro.
Credo si tratti di
una tipologia di contratto, ovviamente precario,
poco compresa nei suoi, pur limitati, aspetti
positivi.
Ritengo infatti vantaggioso il fatto che nel Contratto a Progetto
l’attività del lavoratore viene svolta senza vincolo di subordinazione al
datore di lavoro. Questo significa che i due protagonisti sono legati da un
rapporto di collaborazione, dove il datore di lavoro dovrebbe (il condizionale
è d’obbligo in questa sede), fornire solo delle linee guida per lo svolgimento
del lavoro stesso, mettendo a disposizione degli strumenti ed una sede idonei.
In particolare il
committente, per esempio un’ azienda, fornisce al suo collaboratore (per iscritto nel contratto) un progettoda svolgere, entro una determinata data, la quale può essere identificata in un
giorno specifico o definibile al
raggiungimento del risultato finale
stabilito.
Questo è un punto
molto importante: l’assenza di un progetto da realizzare, messo per
iscritto, comporta le trasformazione del
contratto a progetto in contratto a tempo indeterminato, a chiarire quanto
l’esistenza di un progetto reale sia fondamentale. Non è dunque
sufficiente inserire l’attività, per esempio “effettuare contatti telefonici
per scopo commerciale” (nel caso dei callcenter, dove questo contratto è
fortemente diffuso), ma è necessario specificare anche come il lavoro sarà
organizzato e qual è il risultato atteso.
In tutto questo, il lavoratore non ha (o non dovrebbe
avere) obblighi di orario nello
svolgimento, purchè rispetti le linee guida del suo committente, e garantisca
il risultato finale nel tempo fissato. La dimostrazione che un lavoratore
assunto con Contratto a Progetto, lavori in maniera subordinata al datore di
lavoro, per esempio con precisi orari di entrata ed uscita dal luogo di lavoro,
comporta, anche in questo caso, la trasformazione in Contratto a Tempo
indeterminato.
Si stabilisce
dunque, sempre per iscritto, un corrispettivo da riconoscere al lavoratore, che
deve essere proporzionato alla quantità di lavoro svolto. Nei contratti a
Progetto infatti, spesso si ragiona su base oraria, fissando per ogni ora
lavorata una retribuzione, decisa anche alla luce delle retribuzioni base tipiche dei Contratti Collettivi Nazionali del
settore di riferimento;
da ciò scaturisce
il fatto che, se il collaboratore viene retribuito solo per le ore
effettivamente prestate, non vedrà alcun
riconoscimento economico per le ore non lavorate: per cui non è riconosciuta la malattia o le ferie, che comportano la semplice
sospensione dell’attività.
D’altra parte il lavoratore non è tenuto a
presentare certificato medico, per “giustificare” l’assenza, come non si
prevedono piani ferie, anche qui consapevole che, se ho in essere un contratto
a progetto e decido di fare una vacanza di 2 settimane alle Maldive, queste non
saranno in alcuna maniera retribuite; d’altro canto la loro approvazione non dovrebbe passare per il datore di lavoro
(salvo l’ obbligo etico di avvertire dell’allontanamento più o meno prolungata).
Ovviamente l’assenza per malattia o
ferie, non prolunga la data di scadenza del contratto per recuperare le
giornate non lavorate.
E’ possibile avere
in essere più contratti a progetto con diverse aziende anche dello stesso
settore, per esempio lavorare contemporaneamente, in fasce orarie diverse, per
due callcenter, purchè non si superi un monte ore massimo di 40 ore settimanali
totali.
Il lavoratore ed il
committente possono in qualsiasi momento recedere dal contratto, salvo che
nello stesso venga firmata una clausola di preavviso.
Il vero “problema”
del Contratto a Progetto sta nel fatto che in Italia spesso si mascherano con
questa tipologia contrattuale, anche rapporti di subordinazione, evidentemente
gestiti come tali (con orari di lavoro o assenza di un vero progetto da
realizzare), il che svincola l’azienda da una serie di oneri tipici del
contratto subordinato, snaturando però l’eventuale collaboratore, della sua
autonomia.
Credo in questa
sede sia sufficiente questo riassunto, per non escludere a prescindere proposte
di lavoro che prevedono il Contratto a Progetto, il quale di sicuro, se bene
applicato, garantisce autonomia ed una
certa indipendenza nello svolgimento del lavoro.
Come sempre di
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