In questi tempi, passeggiando per le assolate campagne bitontine, tra i numerosi ulivi è facile imbattersi in un grande albero di fico, fermarsi all’ombra di esso e nel contempo ristorarsi con i suoi succulenti frutti.
Al confine tra il territorio di Bitonto e quello di Palese vi è una contrada denominata “Contrada Torre del Fico”, ricca di piante di fico. A difesa di tale contrada vi è l’omonimia antica torre, dai contadini del luogo da sempre chiamata “Torre del Fico”. Circondata da numerosi alberi di ulivo e di fico, costruita utilizzando l’abbondante calcarenite, dall’arcaica e semplice architettura, databile presumibilmente al XVII secolo, presenta un basso ingresso che immette in un unico ambiente, utilizzato in passato come ricovero ed alloggio del “torraro”, deposito per gli attrezzi agricoli e le derrate alimentari, ed infine anche come stalla. Tramite una scalinata in muratura, caratterizzata da conci calcari appena sbozzati a martelletto, si giunge al piano superiore dal quale il torraro, grazie a segnali di fumo di giorno e fuochi di notte, allertava gli abitanti dei limitrofi casali del sopraggiungere dei briganti di turno.
La storia del fico è millenaria. In un articolo del giornalista G. Bartolazzi leggiamo:
“Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Mesopotamia, Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mar Mediterraneo. E’ una pianta xerofila (amante del caldo asciutto) appartenente alla famiglia delle Moraceae. Nell’antica Grecia era considerato un frutto altamente erotico al quale sono legati molti miti. Platone, soprannominato “mangiatore di fichi”, raccomandava agli amici di mangiarne in quantità perché, a suo dire, rinvigoriva l’intelligenza. L’albero dell’Eden, proibito da Dio all’uomo nel Vecchio Testamento, non sarebbe un melo, ma un fico: infatti Adamo ed Eva, dopo averne mangiato il frutto, quando si accorgono di essere nudi, si coprono intrecciando foglie di fico. I Romani ne erano particolarmente ghiotti. All’epoca, era abitudine mangiare i fichi come antipasto, insaporiti con sale, aceto, garum (specie di salsa di pesce). Secondo Publio Ovidio Nasone, i fichi con il miele venivano offerti nella notte di capodanno come segno di augurio. I Romani pensavano che mangiare i fichi “aumentasse la forza dei giovani, migliorasse la salute dei vecchi e che addirittura avesse l’effetto di ridurre le rughe! “Veneremque vocat, sed cuilibet obstat”(provoca lo stimolo venereo anche a chi vi si oppone): la convinzione che il fico avesse delle proprietà erotiche venne ribadita anche dalla Scuola Medica Salernitana e, secondo la medicina popolare, due giovani sterili potevano ricorrere allo stratagemma di staccare due foglie di fico dall’albero, metterle sotto il cuscino, convinti che questo metodo potesse influenzare benevolmente la procreazione.