«Quale è il ruolo del socialismo oggi? Può essere ancora una promessa di emancipazione?»
Così. Il giornalista Walter Larovere, in occasione dell’incontro “Il sol dell’avvenire” organizzato, nei giorni scorsi, dalla sezione locale del Partito Socialista Italiano e Primo Piano, per ricordare, a cento anni dalla sua uccisione da parte di squadristi fascisti, del segretario del Psu Giacomo Matteotti. Omicidio che si consumò a pochi giorni dal celebre discorso di denuncia contro il governo di Benito Mussolini. Un incontro organizzato «non solo per dovere di memoria, ma anche per approfondire una fondamentale pagina di storia».
A rispondere ai quesiti, il professor Enzo Robles, che invita a non pensare al socialista del Polesine come ad un eroe solitario, perché, in tal modo, si dimentica il contributo importante di tanti altri socialisti che non sono ricordati dalla storiografia e dei circoli sparsi in tutta Italia, che contribuirono alla diffusione delle idee: «A Bitonto si diffusero circoli in cui si leggevano giornali, si discuteva, si faceva cultura».
E ricorda anche la figura di Giuseppe Di Vagno, primo parlamentare ad essere assassinato da esponenti del fascismo agrario pugliese, tre anni prima di Matteotti: «Da noi, il socialismo non poteva nascere nelle fabbriche, ma si sviluppò nelle campagne attraverso i braccianti. E, infatti, le cronache di quegli anni riportano irruzioni dei carabinieri che portarono al ritrovamento, in casa di contadini, di cartoline e testi di Di Vagno e Matteotti».
Per Robles, le due figure erano legate anche dall’attenzione al mondo agrario e alle condizioni dei contadini in Puglia e nel Veneto.
«Oggi ci sono altre mete da raggiungere, ma ci vuole coraggio, per superare quello che è uno dei problemi del socialismo odierno, la divisione al proprio interno» conclude Robles.
«Di Vagno e Matteotti sono due personaggi simili che condividono una sorte simile in due terre simili tra loro. Fu il fascismo agrario che era interessato a contrastare ogni rivendicazione contadina volta a migliorare le condizioni dei braccianti, vittime del padronato» aggiunge Gianvito Mastroleo, presidente onorario della Fondazione Di Vagno di Conversano, sottolineando come la vita dei contadini del Polesine fosse anche peggiore di quella dei loro omologhi pugliesi.
Guardando ad oggi, Mastroleo conclude il suo intervento denunciando il civismo «anticamera, se non sinonimo del trasformismo» e sottolineando come oggi non è vero che tutti i giovani sono tutti disinteressati, ma ci sia una generazione che non rifiuta la politica.
L’ultimo intervento è di Antonio Bonatesta, professore di Storia contemporanea all’Università di Bari, studioso del Mezzogiorno repubblicano e della storia dell’ambiente e del paesaggio. Ed è delle connessioni tra socialismo e tutela dell’ambiente che si concentra Bonatesta: «Il socialismo è profondamente legato al concetto di crisi. Nacque all’interno di una crisi, di una transizione tra società contadina e società industriale, tra stato liberale e stato democratico, quest’ultima poi interrotta dal fascismo. E anche oggi è evidente che c’è un’altra crisi, quella climatica».
Bonatesta si concentra, dunque, sulle istanze del cosiddetto ecosocialismo, evidenziando come la crisi climatica rompa il rapporto tra passato, presente e futuro, paventando il rischio di conseguenze irreversibili per l’ambiente e la vivibilità dell’ambiente in cui viviamo nel caso in cui, entro il 2050, non arriviamo all’impatto zero, come avvertono gli scienziati: «Le conseguenze della crisi climatica sono profonde per varie ragioni. Noi fondiamo tutto sul concetto di futuro, di esistenza. Oggi, per la prima volta, abbiamo una data di scadenza. Non c’è più spazio per ideologie progressive come quelle insite nella filosofia di Croce o Marx. Non esiste più spazio di proiezione. Non solo. L’impatto della crisi climatica coinvolgerà tutti, ma non in egual misura, colpendo di più chi vive in determinate aree e chi ha meno risorse economiche».
Torna, quindi, per Bonatesta, il tema delle diseguaglianze al centro dell’ecosocialismo, tra i cui obiettivi c’è quello di fare in modo che le conseguenze dell’impatto siano redistribuite: «L’ecosocialismo sostiene che ci sia una piccola fetta di popolazione che detiene risorse per contrastare gli effetti del riscaldamento climatico. Finchè continuiamo a considerate il problema come una questione tra stati, tra chi inquina di più e chi meno, tra chi ha iniziato prima ad inquinare e chi oggi lo fa di più, non andiamo da nessuna parte. Bisogna considerare il problema alla luce delle diseguaglianze. È qui che socialismo ed ecologia si coniugano».