Abbiamo parlato, nel precedente appuntamento di questa rubrica, delle elezioni del 2013 e del loro risultato senza precedenti nella storia italiana. Senza tornare su argomenti già discussi, ci soffermiamo oggi su uno dei protagonisti: Mario Monti che, nel 2011, aveva preso il posto di Berlusconi al governo.
Inizialmente, fu accolto con il favore di una larga parte dell’opinione pubblica. Il cambio di guardia fu spesso visto, anche da esponenti politici, come la cura ad una politica corrotta, inefficiente ed inadeguata. Le sue “ricette” furono indicate da larghi settori dell’opinione pubblica come l’unica cura per le difficoltà che l’economia attraversava in quel periodo. Gli fu affibbiato, talvolta, persino il soprannome “Super Mario” (cosa che sarà poi ripetuta per Draghi), preso in prestito dal celebre personaggio videoludico.
Ma la liaison durò molto poco e finì appena Monti avviò le sue politiche. Dall’esecutivo Monti, infatti, furono promossi diversi provvedimenti, definiti “politiche di austerità”, con il fine di ridurre la spesa pubblica e incrementare le entrate fiscali, per migliorare la competitività dell’economia italiana. Riforme, che, nonostante fossero percepite positivamente dall’Unione Europea e dai mercati finanziari, accrescendo la fiducia internazionale nell’Italia, incrinarono il consenso dell’opinione pubblica italiana.
Nonostante ciò, riuscì a conservare un consenso notevole tanto che, alle elezioni, Scelta Civica, la lista a sostegno di Mario Monti, ottenne l’8,30% alla Camera e il 9,13% al Senato A Bitonto il consenso fu del 7,87% alla Camera e dell’8,42% al Senato. Un risultato che permise di mandare a Palazzo Montecitorio il professor Gaetano Piepoli, già presidente della Fiera del Levante e ordinario di diritto privato.
«La Lista Monti, nel bene o nel male, ha indicato un’alternativa rispetto allo scontro tra due populismi legati ad un bipolarismo fittizio, e rispetto alla protesta che ha visto in Grillo il punto di riferimento – disse il docente nel Da Bitonto di febbraio 2013 –. La Lista Monti è una riaggregazione serena per ricostruire il paese […]».
Quindi, per il deputato, il tecnicismo di Monti era visto come un’alternativa ai populismi di varia natura. Sia quello puramente liberista di Berlusconi che quello antipartitico di Grillo. Oltre che alla “autosufficiente presunzione” del centrosinistra, accusato di essersi lasciato illudere dalle primarie, sottovalutando Berlusconi e Grillo «bravo a sfruttare l’autostrada prodotta dalle nomenclature di partito, che non sono riuscite a limitare e a cancellare i poteri della casta».
Piepoli sottolineò anche che «a Bitonto è necessario sostenere il rinnovamento della classe dirigente, perché altrimenti la città rischia di morire nell’inconcludenza del susseguirsi delle amministrazioni. Con le ultime elezioni amministrative, Bitonto ha dato segnali in tal senso: la nuova amministrazione, a cui noi guardiamo con molta simpatia, è frutto di una crescita dal basso e il desiderio della lista civica nazionale creata da Monti è quello di sostenere questo processo prendendo atto che i partiti tradizionali sono ormai chiusi e ancorati ancora a vecchie logiche che non funzionano più».
Parole che, pur partendo da una denuncia del populismo, cadono esse stesse nel più classico populismo antipartitico, che vede i partiti politici come strutture avulse dalla società, chiuse all’esterno e ancora intente a perpetrare vecchie logiche.
Ad essi, Piepoli propone, come alternativa, una Scelta Civica, nome che, non a caso, Monti aveva individuato per il suo movimento politico: «Costruiremo una rete territoriale, con risorse umane raccolte in varie contesti ed esperienze basate sulle liste civiche comunali che finalmente avranno nella “Lista Monti” un riferimento nazionale».
Una sorta di lista civica nazionale che avrebbe rappresentato la miriade di forze politiche analoghe esistenti a livello locale.
L’esperienza di Monti e della sua Scelta Civica, dunque, ci porta ad interrogarci su due questioni. La prima è quella del civismo individuato spesso come alternativa democratica a partiti chiusi in sé stessi, incapaci di comunicare e di ascoltare le istanze dei cittadini. Una retorica figlia dell’antipolitica che, negli ultimi decenni, è ormai permeata nell’opinione pubblica dopo anni ed anni di martellante ed incessante propaganda antipolitica.
Una propaganda che vede nei partiti politici l’origine di tutti i mali della politica. Comodo capro espiatorio che, tuttavia, nasconde spesso altre verità. Dietro la bandiera del civismo più volte in questi anni abbiamo visto farsi largo consorterie che erano davvero luoghi chiusi alla società, scevri da qualsiasi ideologia o orizzonte valoriale, liquidi e personali, senza vera militanza, atti solo a promuovere personaggi locali forti di larghi bacini elettorali grazie ai quali portare avanti interessi non sempre chiari e trasparenti. Una dimostrazione della fallacia di quella demagogia che, negli anni ’90, molti vedevano la soluzione alla corruzione in politica nell’eliminazione dei partiti. I partiti tradizionali tanto criticati scomparvero, ma la corruzione è rimasta. Del resto, come abbiamo sottolineato più volte nel corso di questa rubrica, la corruzione non era affatto figlia della forza dei partiti politici, ma della loro debolezza, dopo decenni di delegittimazione da più fronti.
Torneremo in seguito sul fenomeno del civismo, che è stato tra i protagonisti dell’esperienza di Michele Emiliano al governo della Regione Puglia.
Soffermiamoci qui sulla seconda questione. Quella del tecnicismo. Può essere realmente la soluzione ai mali della politica, come più volte è stato sottolineato negli ultimi anni? O è solo l’ultimo stadio di un populismo antipolitico che ha portato l’Italia in una profonda crisi strutturale?
Torniamo, quindi, all’insediamento del governo Monti al posto che fu di Berlusconi. L’idea che solo un governo tecnico potesse risollevare le sorti dell’Italia non era affatto nuova. Non fu la prima volta, infatti, che un governo tecnico veniva presentato come alternativa benefica al corrotto sistema partitico. Già negli anni ‘50 nel pensiero liberista di uno dei primi rappresentanti del populismo italiano dopo l’avvento della repubblica: Achille Lauro. In lui era già presente l’idea che solo un ministero di tecnici e persone competenti sarebbe stato in grado di soddisfare le esigenze del Paese. Erano già nel suo pensiero pesanti critiche allo statalismo, al professionismo politico degli incompetenti e al dispotismo dei segretari di partito. È figlia di un’ideologia liberista che si è manifestata ciclicamente nell’arco della storia repubblicana, portata avanti da destra. Un’ideologia che, travestendosi da antipolitica e antipartitismo, nei decenni ha utilizzato il populismo per predicare la scomparsa dei partiti, rei, con la loro opera di mediazione tra popolo ed istituzioni, con la loro ricerca di compromesso tra capitale e lavoro, di essere un filtro per gli interessi del mercato.
Non è un caso che il risentimento antipolitico sia diffuso in tutto il vecchio continente. È figlio della crisi dello Stato sociale e di un’operazione ideologica di screditamento degli istituti di mediazione e dell’idea stessa di welfare state. Operazione che trova espressione nella tesi del sovraccarico (overload thesis), nata in ambienti politici ed economici di destra ed enunciata nel rapporto del ’73 della Commissione Trilaterale, di cui lo stesso Monti è stato presidente del gruppo europeo dal 2010 al 2011, prima di diventare capo del governo italiano.
Questa teoria imputava allo Stato sociale di sabotare le capacità espansive dell’economia. Secondo i suoi sostenitori, solo sottraendo gran parte del potere decisionale alla politica, per cederlo alla competenza tecnica di mercato e banche centrali è possibile uscire da questa paralisi. Ad essa si affiancava la public choice theory, nata negli anni ’60 negli Usa e poi diffusa in tutto l’Occidente. Affermava che il comportamento degli attori politici non può che essere orientato ad ottenere benefici personali o vantaggi per conto della propria parte. Fu una valida alleata delle politiche neoliberiste e dei detrattori dei partiti, che la utilizzarono per dare una spiegazione antipolitica ai fenomeni di corruzione dei partiti. A questi ultimi, secondo l’ideologia neoliberista, dovevano sostituirsi le forze sane del mercato, che possono liberare la cosa pubblica dagli impedimenti derivanti da inefficienza e veti di tipo corporativo. L’uso combinato di queste due teorie ha permesso, negli anni, di indebolire i partiti, favorendo l’insorgere di fenomeni di corruzione al loro interno, salvo poi denunciare gli stessi partiti come luoghi riservati a carrieristi, chiusi e impermeabili alle istanze della società civile, al cui interno si sviluppa il malaffare e lo sperpero di denaro pubblico.
Non è neanche un caso che a ripescare le idee di Lauro sia stato, 40 anni dopo, una figura assai simile all’imprenditore napoletano: Silvio Berlusconi. Uno dei maggiori esponenti del populismo antipartitico contemporaneo, nonché uno dei due esempi citati dal nostro Piepoli.
Quindi il tecnicismo auspicato da Piepoli non poteva essere un argine ai populismi, dal momento che populismo e governo tecnico non sono altro che due facce della stessa medaglia.