Uno dei punti di forza su cui era basata, nel 2008, la campagna elettorale di Raffaele Valla, fu l’attenzione per la sicurezza. Un bisogno che un ex questore poteva facilmente incarnare, in una città non certo facile, afflitta da una criminalità prepotente, dedita a furti, scippi e centro di scontri tra gruppi malavitosi che a luglio dell’anno prima aveva causato il tentato omicidio di Domenico Conte e il contestuale omicidio di Vito Napoli, scorta di Conte. Oltre all’omicidio con occultamento di cadavere di Giuseppe Dellino, autista del commando autore dell’agguato, il cui corpo fu ritrovato ben sei anni dopo. Fatti di sangue a cui seguirà, nel 2010, un altro duplice omicidio.
In virtù del suo curriculum vitae, l’ex questore fu presentato talvolta dalla propaganda elettorale come una sorta di sindaco sceriffo dal pugno di ferro. E tale fu rappresentato, in tono satirico, anche in una celebre vignetta a firma di Pierfrancesco Uva.
Ma al di là del contesto locale e delle sue peculiarità, vogliamo qui andare oltre e soffermarci non sul contesto locale, ma su un fenomeno ben più vasto. Un fenomeno che riguarda l’Italia intera e non solo. Quello del securitarismo che è, da sempre, uno dei cavalli di battaglia del populismo di destra. Un populismo a cui talvolta si è accodata anche la sinistra, nel timore di perdere consensi e di essere accusata di lontananza dalle istanze della popolazione. Nel timore di essere accusata di essere una “sinistra da salotto”, “radical chic”.
La retorica securitaria, in realtà, è stata più volte, in passato, utilizzata dalle forze di governo in risposta alle proteste sociali. Lo abbiamo visto nelle proteste di fine anni ’60 e, ancor prima, lo vedemmo quando, parlando dei tumulti del ’47 a Bitonto, sottolineammo come se da un lato l’Unità, giornale vicino alle ragioni dei manifestanti, ponesse l’accento sulle loro istanze, il quotidiano La Stampa raccontò il tutto come una minaccia all’ordine pubblico, sorvolando sulle ragioni degli insorti.
Nel dopoguerra, nei primi anni della Repubblica, durante gli anni di Mario Scelba al Ministero degli Interni, la retorica securitaria era stata spesso messa in atto per reprimere ogni rivendicazione di diritti o di miglioramento delle condizioni sociali.
Durante gli anni ’70, mentre per le strade scorreva il sangue causato dall’aumento della criminalità e dal terrorismo politico, il securitarismo era stato poi uno dei temi ricorrenti della propaganda del Movimento Sociale Italiano e delle forze di destra, che chiedevano azioni più incisive contro la criminalità dilagante e il brigatismo rosso.
Un nuovo securitarismo poi è nato negli anni ’90, con la recrudescenza del crimine e, successivamente, con i fenomeni migratori degli ultimi decenni. Un securitarismo che, se da un lato denunciava un’immigrazione spesso incontrollata e generatrice di degrado, dall’altro è spesso sfociato in forme di discriminazione che criminalizzano interi gruppi etnici per azioni individuali.
Un “allarme sicurezza” spesso inflazionato dalla stampa, dal momento che la cronaca, per quanto necessaria e preziosa per il raccontare la società e il mondo in cui viviamo, è foriera di letture e ascolti molto più facili rispetto ad altri campi del giornalismo. Ed è pertanto spesso soggetta ad essere l’unico argomento di una certa stampa di scarsa qualità che non ha altri contenuti da mostrare all’utente. Un fenomeno oggi acuito anche dal web e dai social network, ambienti che portano le testate giornalistiche ad avere sempre fame di letture e click. E spingono politici populisti, specialmente a destra, a farsi megafono delle paure dell’elettorato, senza elaborarle in serie proposte politiche, ma alimentandole a fini elettorali per incrementare un paradigma del degrado utile ad accrescere consensi.
Ma, al di là dei proclami e della cronaca, quanto c’è di vero e quanto è mero populismo per guadagnare facili consensi o di ossessiva ricerca di lettori e ascoltatori?
In realtà, nonostante spesso possa sembrare il contrario, negli ultimi 15 anni i reati in Italia sono calati a livello nazionale del 25,4%, secondo i dati diffusi dal Ministero degli Interno che sottolinea non solo un calo costante dei reati, ma anche una buona posizione dell’Italia nelle classifiche europee. Facendo riferimento al numero degli omicidi, ad esempio, «nel 1990 gli omicidi in Italia erano 3.012 e negli ultimi 15 la curva è in costante calo (erano 632 nel 2007). Confrontando il dato degli omicidi volontari in Europa, secondo l’indagine effettuata dall’Istituto Eurostat, l’Italia appare uno dei Paesi più sicuri con uno delle più bassi rapporti tra numero degli omicidi e popolazione» (fonte: bilancio 2022 della Polizia, presentato a Roma a fine dicembre 2022).
Stessa cosa per i “femminicidi”, diminuiti nonostante le cronache quotidiane possano far sembrare il contrario. Come anche per il numero di furti, rapine, violenze private (ma per quest’ultimo fenomeno è necessario tener presente che c’è anche un’ulteriore quota non dimostrabile in quanto non denunciata) è in costante diminuzione in Italia.
Ovviamente, questo non vuol dire che non è necessario preoccuparsi dei fenomeni di violenza e delle loro implicazioni sociali e culturali. E, a livello cittadino, non significa neanche che la stampa dovrebbe evitare di dare certe notizie per evitare di infangare la reputazione del territorio, come talvolta è stato rimproverato da amministratori più interessati al marketing che ad affrontare problemi (come se le testate giornalistiche fossero agenzie di promozione territoriale).
Forse, però, sarebbe necessario avere maggiore preoccupazione per il modo in cui i media influenzano la percezione dei fatti di cronaca (e talvolta l’Ordine dei Giornalisti è anche intervenuto a riguardo, sancendo regole per la stampa). Ad esempio, inserire nel titolo la nazionalità dell’autore di un crimine, può spesso far spostare l’attenzione, più che sul punto centrale della notizia, ossia il mero fatto di cronaca, su un elemento che invece dovrebbe rimanere un dettaglio tra gli altri all’interno del testo. Oppure, basta mettere in sequenza per qualche giorno di seguito, notizie riguardanti lo stesso tipo di reato per indurre a pensare ad una emergenza. Ne sono esempi le ondate di notizie su crimini compiuti da extracomunitari che spingono spesso a far pensare, ad una fascia di popolazione troppo abituata alla semplificazione delle narrazioni, che quei gruppi etnici siano maggiormente inclini all’inosservanza delle leggi.
Talvolta, sono esempio di percezione distorta anche le notizie sulle violenze ai danni delle donne che, al di là dell’importanza del loro racconto, possono tendere a far pensare ad un fenomeno in crescita e a colpevolizzare gli uomini in quanto tali.
Narrazioni distorte che rischiano di contribuire al rilascio nella società di pericolosi veleni.