Con la legge 43 del 28 febbraio 1949, fu approvato il progetto di legge “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia”, che agevolò la costruzione di case per lavoratori, con il quale si sarebbe dato avvio ad un piano per la realizzazione di alloggi economici. Meglio conosciuto con il nome di “piano INA-Casa”, fu una delle grandi riforme fatte tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50, insieme alla riforma agraria, di cui abbiamo parlato nella precedente puntata di questa rubrica. Una riforma che rappresenta una delle più importanti e diffuse esperienze nella costruzione di edilizia popolare e che, in un periodo di forti cambiamenti, come furono i due decenni dopo la guerra, fu un modo per dare forma all’espansione che stavano avendo le città italiane, spesso rapida e disordinata. Una società che affrontava un incremento demografico, soprattutto nelle città, quando l’incremento dell’economia industriale spinse molti a trasferirvisi dalle campagne. Nuovi quartieri nacquero in ogni dove. Anche a Bitonto, dove, nel ’62, ad inaugurare la posa della prima pietra per le case popolari previste dal Piano (nella zona della città che va verso santo Spirito, lungo viale Giovanni XXIII e attorno alla chiesa di San Leone), venne Aldo Moro, all’epoca deputato e segretario della Democrazia Cristiana, prima di diventare, nel ’63, per la prima volta Presidente del Consiglio. Era a Bitonto in occasione della campagna elettorale per le amministrative di quell’anno, che videro la vittoria della Dc e la nomina a sindaco di Domenico Saracino, con l’appoggio di Psi e Psdi.
Dalla stampa dell’epoca fu anche chiamato “piano Fanfani”, in quanto il grande promotore fu l’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani, attento al problema abitativo sin dal ’42, quando scrisse il suo “Colloquio sui poveri”. Il piano, infatti, fu anche un modo di affrontare quel degrado che affliggeva i contesti abitativi di larghe fasce della popolazione, talvolta costrette a vivere in sottoscala, cantine, baracche e alloggi di fortuna. Non fu il primo piano per l’edilizia residenziale pubblica, ma fu preceduto, mezzo secolo prima, dalla legge 251 del 1903, che istituì gli Istituti Autonomi per le Case Popolari e che fu la prima norma promulgata per favorire la costruzione di abitazioni popolari e per migliorare le condizioni di vita dei ceti meno abbienti. A Bitonto le case popolari nate grazie allo Iacp, sempre tra gli anni ’50 e i ’60, prima degli alloggi dell’Ina-Casa, furono le abitazioni in via Ammiraglio Vacca, dove l’aggettivo “popolare” nell’insegna di un bar è lì a testimoniare l’origine delle case circostanti, e quelle nella zona del Park and Ride (zona del vecchio tram).
Coordinato e gestito dall’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (Ina), il Piano Ina-casa fu finanziato e realizzato grazie alla partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti, che videro la decurtazione, dal salario mensile ricevuto, dell’”equivalente di una sigaretta al giorno”, secondo la propaganda che accompagnò la presentazione della legge, che presentava questa decurtazione come un appello alla solidarietà di tutte le fasce sociali verso la parte più bisognosa della popolazione. L’obiettivo, infatti, era la costruzione di alloggi economici, anche per rilanciare l’occupazione e l’economia, soprattutto nelle regioni dove diffusa era la disoccupazione. Specialmente attraverso la realizzazione non di sole abitazioni, ma di quartieri autosufficienti per accogliere gli operai.
«Non case ma città» come disse Giorgio La Pira. 350mila furono le famiglie che, grazie al piano ebbero l’opportunità di trasferirsi in alloggi più dignitosi, tra cui molti immigrati dalle campagne, molti meridionali che si erano trasferiti al Nord, spesso vivendo in abitazioni non all’altezza, e anche profughi dall’Istria e dalla Dalmazia.
L’edilizia residenziale pubblica vedrà, poi, un ulteriore sviluppo, con la legge 167 (da cui presero il nome i quartieri che si formarono nelle città) del 1962 che permise, per la prima volta, l’espropriazione per pubblica utilità per requisire non solo terreni destinati a interventi pubblici, ma anche a residenza.