Le politiche del 2022 hanno decretato la vittoria delle destre, in particolare, dell’erede di Alleanza Nazionale, del Msi e della tradizione postfascista italiana: Fratelli d’Italia. Al contrario di quanto, invece, è successo alle amministrative di Bitonto, dove la vittoria del centrosinistra ha permesso di dare un seguito al decennio di Abbaticchio, superando, al tempo stesso, molte delle fratture che l’avevano contraddistinto. Su quest’ultimo argomento sorvoleremo, essendo prematuro e impossibile, in una rubrica di approfondimento, analizzare adeguatamente fenomeni recentissimi e ancora in corso. Limitiamoci alle politiche e ai vincitori che, sebbene siano al governo da poco, sono protagonisti dell’arena politica già da diversi anni.
Torniamo, dunque, al 25 settembre 2022, data che portò al governo Giorgia Meloni, che, forte del successo del suo partito, divenne la prima donna a ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio dei Ministri.
Fratelli d’Italia è stata l’unica tra le principali forze politiche ad essere sempre all’opposizione dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni, da quelli tecnici di Monti e Draghi, a quello di larghe intese di Letta; dai governi a guida Pd e Nuovo Centrodestra di Renzi e Gentiloni ai due di Giuseppe Conte. Non è stato difficile, dunque, per la sua leader, coltivare ed accrescere il proprio consenso, senza alcuna fretta di diventare forza di governo, presentandosi all’elettorato come una coerente novità rispetto ai protagonisti precedenti del potere esecutivo. Anche rispetto a Salvini, che era stato nel Conte I.
Ponendosi come paladina del conservatorismo europeo, in difesa di concetti quali tradizioni cristiane, patria e famiglia, Meloni ha incrementato il proprio consenso riempiendo il vuoto lasciato dal calo di M5s e Lega e sfruttando una rinvigorita spinta identitaria di destra che è riuscita a trovare, in questi anni, maggiore consenso non solo in Italia, ma anche in Europa e in Occidente. Basti pensare all’Ungheria di Orban, alla crescita dei consensi verso la francese Marine Le Pen, agli Stati Uniti del magnate Donald Trump, al Regno Unito di Boris Johnson, ma anche al Brasile di Bolsonaro, giusto per citare alcune esperienze recenti o tuttora in corso. Un’ondata che negli anni è cresciuta sempre più con la crisi delle culture progressiste, delle forze di centrosinistra e di sinistra.
La destra di Meloni si è imposta anche attraverso una comunicazione abilmente promossa attraverso media vecchi e nuovi, dalla tv, con i programmi Mediaset (ma non solo) che hanno fatto da veicolo della demagogia antipolitica e populista con i vari Mario Giordano, Paolo Del Debbio, giusto per fare un paio di esempi, ai social network, da Facebook a TikTok, da Twitter a Instagram, che sono stati strumento di comunicazione diretta per leader carismatici come Matteo Salvini e la stessa Giorgia Meloni.
“Testa d’ariete dell’internazionale sovranista”, per usare un’espressione del quotidiano Il Foglio, Giorgia Meloni si è imposta sfruttando una retorica populista fatta di securitarismo, sovranismo, nazionalismo, critica al multiculturalismo e alla gestione dei flussi migratori, accusando spesso la sinistra di lucrarci. La leader di Fratelli d’Italia ha così conquistato un pubblico sempre più grande, scavalcando anche quello di Matteo Salvini che, dopo il picco dei consensi di qualche anno fa, ha visto ridimensionarsi il suo ruolo all’interno del centrodestra. Un obiettivo raggiunto sia grazie alla leadership carismatica di Giorgia Meloni, sia cavalcando clamorosi fatti di cronaca utili alla narrazione securitaria.
La retorica di Meloni racchiude, dunque, gli elementi che, da sempre, caratterizzano il populismo di destra che non è un monolite unico, ma ha al suo interno differenze dovute alla presenza di diverse storie e culture politiche. Alcuni movimenti e partiti nascono dal neofascismo e dall’estrema destra, mentre altri dalla tradizione conservatrice o liberale.
In Giorgia Meloni, c’è l’elemento identitario racchiuso nelle parole pronunciate in uno storico intervento in Spagna, in un’assemblea del partito Vox: «Io sono Giorgia, sono una donna, sono italiana, sono una madre, sono cristiana, non me lo toglierete».
Nazionalità, famiglia, religione sono dimensioni identitarie messe a repentaglio, secondo l’idea alla base, da nemici che puntano ad indebolire la sovranità nazionale e la tradizione italiana: il multiculturalismo, le forze globaliste e le élite cosmopolite culturali e finanziarie.
Élite economiche e culturali che sarebbero colpevoli, tra le altre cose, di attaccare industria e cultura italiana e di favorire l’immigrazione di massa che corromperebbe la cultura tradizionale della nazione e sarebbe responsabile di incrementi di episodi criminali (sebbene alcuni rapporti degli ultimi anni registrerebbero cali di alcune categorie di reati, come ad esempio gli omicidi).
Idee che, estremizzate da alcune fasce dell’elettorato, portano talvolta a visioni caratterizzate da razzismo e xenofobia, che trasformano i migranti in comodi capri espiatori contro cui esternare risentimento per la sensazione di insicurezza diffusa nella società. O accusano talune minoranze politiche e sociali colpevoli di ledere i valori tradizionali della nazione italiana.
Obiettivo della narrazione della destra odierna è anche la critica al ruolo crescente degli organismi sovranazionali, indicati come colpevoli della subordinazione del potere politico ai poteri economici globali. Ad esso si contrappone il sovranismo, volto a creare un’idea rassicurante del mondo, in cui è possibile una netta distinzione tra dentro e fuori, tra «noi» e «loro».
Alla retorica sulla patria si unisce quella sulla famiglia, che deve essere difesa dagli attacchi del femminismo, dei movimenti per i diritti della comunità Lgbt, del riformismo sociale progressista. La famiglia è, infatti, vista come il luogo primario della sicurezza e dell’identità, ed è la principale forma di welfare sostitutivo in tempi di diminuzione degli investimenti pubblici. Ed è anche il baluardo dell’identità. Concetto, questo, a cui si legano il costante appello contro il calo demografico che affligge l’Europa e la presunta difesa dell’etnia caldeggiata, qualche tempo fa, dal ministro Lollobrigida. Concetto che richiama tristemente alla mente la difesa della razza tanto cara al fascismo del Ventennio.
C’è, poi, l’ideologia decisionista che è alla base del progetto presidenzialista prima, e della proposta di premierato dopo. Proposte che mirano entrambe ad un rafforzamento del potere esecutivo, per velocizzare la capacità del sistema politico di prendere decisioni (torna qui la critica al bicameralismo perfetto e il concetto di “lentocrazia” che abbiamo più volte citato in questa rubrica).
Ci sono, poi, gli elementi tipici della destra liberale e liberista, che potrebbero talvolta sembrare contraddittori con i precedenti, ma che puntano a conciliare una visione comunitarista del popolo, incentrata su ordine e tradizione, con il richiamo alla libertà dell’individuo, nel mercato e nella società. Ed è da questo richiamo che nasce l’abbraccio con quel liberismo incarnato da Forza Italia e dal suo fondatore Silvio Berlusconi, rappresentante, sin dal suo esordio, di una retorica figlia della fiducia nell’azione autoregolamentatrice del mercato, nel cosiddetto “laissez-faire” ed erede dell’egemonia neoliberista che si è affermata a partire dagli anni ’80. Una retorica che si scaglia contro lo stato sociale, accusato di essere assistenzialista, e contro la tassazione che penalizza la classe imprenditoriale che avrebbe, invece, il merito di portare avanti l’economia italiana. Una retorica ostile alle tasse e a qualsiasi principio di regolamentazione su base patrimoniale, che non vede di buon occhio le limitazioni all’azione economica individuale che derivano da vincoli burocratici, ambientali e sociali e che punta a garantire benefici alla classe imprenditoriale, nella convinzione che questa sia la locomotiva dell’economia e che, crescendo, garantisca benefici anche al resto della società. Non redistribuzione per riequilibrare le disparità economiche, dunque, ma fiducia che il mercato accresca da sé il benessere attraverso un aumento della produzione.
Questi ultimi elementi della destra liberale potrebbero talvolta sembrare in antitesi con critiche al liberismo, al liberalismo e ai loro prodotti, come, appunto, multiculturalismo, globalizzazione, abbattimento delle frontiere nazionali e della sovranità economica nazionale, movimenti per i diritti civili. Le motivazioni di queste apparenti incongruenze sono dettate in parte da ragioni di tipo strategico, e cioè dalla volontà di cercare i consensi del mondo imprenditoriale. E, in parte, dettate dall’influenza della già citata egemonia neoliberista e dal suo intrinseco individualismo, che riesce a legarsi ad alcune delle istanze della destra populista, mobilitando in parte dell’elettorato sentimenti di avversione verso determinate categorie accusate di ostacolare quella libertà evocata.
Tutti questi elementi, uniti, hanno dato vita ad una narrazione che si è diffusa sempre più nell’elettorato, raggiungendo anche quelle fasce e quei territori tradizionalmente di sinistra. Anche grazie ad un’altra retorica che si è radicata in questi ultimi decenni e che accusa la sinistra di aver tradito quella che storicamente era la sua base elettorale. Una visione semplicistica e superficiale, ma talmente vincente da essere fatta propria anche dalla stessa sinistra, che la utilizza spesso per autoflagellarsi cercando un colpevole e una spiegazione semplice alla crisi che, da diversi decenni, l’ha colpita. Ma di questo ne parleremo nel prossimo appuntamento.
Torniamo a noi, sottolineando un ultimo aspetto. Arrivati al governo, ovviamente, Meloni e Fratelli d’Italia hanno dovuto necessariamente attenuare alcuni tratti della narrazione utilizzata quando erano forza di opposizione. Come era successo con il Movimento 5 Stelle che, arrivato al governo, si era trovato ad essere quasi mutilato, privo di quella componente di protesta che aveva decretato il suo successo sfruttando il web, i social, i palchi del Vaffa Day. Però, a differenza dei 5 Stelle, oltre alla mera protesta antipolitica e antipartitica, nel consenso a Giorgia Meloni c’è anche una componente identitaria legata all’ideologia che fa capo a Fratelli d’Italia. Quest’ultimo, poi, è un partito politico con una sua identità non legata solamente al suo leader carismatico (seppure al leaderismo di Meloni debba gran parte del successo), a differenza del M5s ma anche della stessa Forza Italia, il cui destino è attualmente in discussione, dopo la dipartita del leader e fondatore.