Il 7 e l’8 giugno 1970, nelle regioni a statuto ordinario, oltre che per rinnovare il consiglio provinciale, si vota, per la prima volta, anche per eleggere il consiglio regionale, con un sistema proporzionale che, ricordiamo, prevede la sola elezione dei consiglieri e non quella del presidente. Esattamente come avviene per tutti gli altri livelli di governo, dai comuni al governo nazionale.
Introdotte nell’ordinamento giuridico italiano con la Costituzione del 1948, che agli articoli 114 e 115 prevede, rispettivamente che «la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni» e che «le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione», nei primi venti anni di repubblica non avevano visto la loro reale istituzione. Infatti, nonostante la previsione costituzionale, prima del 1970, le regioni italiane non furono varate norme che permettessero a quegli enti intermedi, tra province e stato centrale, di funzionare, a partire dalla disciplina dell’elezione del consiglio regionale. Un’inerzia motivata principalmente per ragioni politiche. Il principale partito di governo, la Democrazia Cristiana, aveva sempre temuto che, in alcune regioni italiane, potesse vincere i partiti di sinistra, ostacolando il governo centrale. Soprattutto nel nord, nelle regioni in cui il Partito Comunista Italiano era più forte.
Del resto, lo avevamo visto già nel ’63, in occasione della campagna elettorale per le politiche di quell’anno, quando, durante un’assemblea dei giovani della Democrazia Cristiana, il professor Renato Dell’Andro, ordinario di diritto penale e giudice costituzionale, oltre che candidato per la Camera dei Deputati, disse: «L’ordinamento regionale va attuato. Naturalmente non è possibile una simile opera in pochissimo mesi. Soprattutto è da considerare come non sia questo esattamente il momento di attuare le regioni, in quanto, al presente comprometterebbero il principio democratico che sta alla base. L’attuazione delle regioni è prevista dagli articoli della Carta costituzionale, ma l’applicazione dei singoli articoli deve compiersi in armonia con il citato fondamentale principio democratico. È quindi necessario attendere che scompaia il pericolo di veder compromesso questo principio, perché si possa dar vita all’ordinamento regionale».
Fu necessario attendere il ‘68 per avere le prime leggi che disciplinassero l’elezione dei consigli regionali e attribuissero alle regioni competenze legislative e amministrative.
L’appuntamento elettorale, primo del decennio, cade in un periodo particolare per la storia italiana e del nostro territorio. Mentre l’Italia vede affermarsi sempre più le proteste, la violenza, le stragi, mentre gli effetti del miracolo economico svaniscono sempre più, il Sud e la Puglia hanno, in ritardo, appena iniziato a vederli. Da qualche anno è nata la zona industriale di Bari, che si sta ancora allargando, tanto da portare Bari, secondo quanto riporta la Gazzetta del Mezzogiorno dal 28° al 20° posto nella graduatoria delle province italiane ai prodotti esportati.
Proprio la Dc, a Bitonto, è tra le prime ad iniziare la propria campagna elettorale, con l’intervento del senatore Vito Rosa, durante un’assemblea di partito datata 2 maggio, sull’importanza e sul significato del voto del mese successivo: «Siamo alla vigilia della più impegnativa della più difficile battaglia elettorale, dopo quella del 1948. Siamo al nuovo Risorgimento per una coscienza del popolo italiano. […] Ora si combatterà la vera battaglia per l’affermazione definitiva della libertà e della democrazia. Non soltanto per il rinnovo dei consigli provinciali, ma anche per l’entrata in funzione delle Regioni. […] Assolveranno ad un importante compito quale quello di snellire, risolvere determinati problemi con la partecipazione e la responsabilità del popolo. Essa sarà il lievito perché la democrazia diventi una sostanza: costituirà un motivo d’interesse per il popolo meridionale e servirà ad eliminare il divario fra nord e sud. I nemici delle regioni accreditano falsamente l’ipotesi secondo cui con esse si romperà l’unità del popolo italiano. È una menzogna (non tutti, infatti, salutavano con favore l’istituzione delle Regioni, come vedremo nel prossimo appuntamento, ndr)».
E la Dc torna in piazza qualche giorno dopo, per presentare quelli che sono i suoi candidati bitontini: per la Provincia Riccardo Tisbo, mentre per la Regione Franco Nacci. Per l’occasione tornano in città Dell’Andro, per parlare del pieno sviluppo delle autonomie locali nell’ordinamento regionale, e lo stesso senatore Rosa, oltre al segretario provinciale Angelo Schittulli, all’onorevole concittadino Arcangelo Lobianco e all’avvocato Vincenzo Sorice, candidato alla Regione. Ad accoglierli il sindaco Francesco Gesualdo e il segretario zonale Giuseppe Pice. Sempre per la Dc, a parlare del mondo del lavoro e dello Statuto dei Lavoratori, appena approvato in Parlamento, è Natale Pisicchio, esponente della Camera dei Deputati. Tra gli altri, gli onorevoli Michele Scianatico, Antonio Laforgia.
Per il Pci, interviene il candidato canosino alla Regione Sandro Fiore, per sostenere il candidato alle provinciali Pasquale Marinelli, mentre per il Psiup, che alla Provincia ha candidato Carlo Sblendorio, intervengono Antonio Di Napoli e l’onorevole Beniamino Finocchiaro.
Per il Msi, invece, tra i candidati che fanno visita a Bitonto, durante la campagna elettorale, c’è l’avvocato Giuseppe Cianciola.
Mentre la campagna elettorale entra sempre più nel vivo, con l’avvicinarsi dell’appuntamento con le urne, un’iniziativa di protesta viene avviata a Mariotto da un gruppo di studenti e operai che, appostati in piazza Roma, con un tavolo e un cestino, invitano i cittadini della frazione a non votare e a riporre lì dentro la tessera elettorale: «A Mariotto non si vota e chi vota è un traditore».
Il motivo? «Per la rete idrica e fognante». Alla base dell’iniziativa, infatti, ci sono alcuni problemi rimasti ancora insoluti e la richiesta dell’autonomia amministrativa di Mariotto. A consegnare la propria tessera, stando a quel che riporta la Gazzetta in data 26 maggio 1970, «solo gli appartenenti ad un circolo socialista e alcuni cittadini», mentre l’iniziativa viene criticata da altri ambienti e attribuita a «pochi elementi “anarchici” bene individuati». Sempre i critici ricordano, dunque che, la raccolta dei certificati e l’incitamento all’astensione, potrebbe costituire reato.
Ad avere più voti alle regionali è la Democrazia Cristiana, che, con 766254 voti si impone sulle altre forze politiche e raggiunge la maggioranza del consiglio comunale, potendo, quindi, nominare, come presidente Gennaro Trisorio Liuzzi, già sindaco di Bari dal ’64 al ’70.
A Bitonto sono 7720 i voti. Segue il Pci (6725), il Psi (2180), il Msi (1241), il Psiup (1014), il Psu (662), il Pli (229), il Pdium (184), il Pri (119), il Partito Nazionale Democratico (30).
Per la Provincia, invece, a diventare presidente è il professore Giovanni Palumbo, già assessore all’agricoltura dal ’65 al ’79, nominato dalla Dc che, imponendosi sugli altri, raggiunge 259566 voti, il 37,2% della popolazione votante. A Bitonto, dove il 92,1% si reca alle urne, il Pci raggiunge il maggior numero di voti (6923, seguito dalla Dc (6175), dal Psi (2180), dal Msi (1573), dal Psiup (1239), dal Psu (1093), dal Pri (318), dal Pli (226), dal Pdium (201), dal Pnd (10).
Dal collegio di Bitonto, è eletto il comunista Pasquale Marinelli.