I nostri
politici della Seconda Repubblica si sono dimostrati felicemente ingenui,
quando hanno deciso di correre verso un abbraccio mortale con la nazione più
forte.
Infatti,
la Germania sta cercando di costruire un sistema economico europeo fondato
sull’impoverimento delle nazioni che si affaccino sul mediterraneo quali Grecia,
Spagna e Italia, a fronte di un suo immenso vantaggio.
L’Europa
è stata voluta come un’unione monetaria tra paesi in condizioni economiche
molto diverse tra loro, ma all’unione monetaria non si è accompagnata una
politica economica comune né politiche di bilancio comuni.
Insomma,
anche l’Italia ha accettato la leaderschip tedesca, senza accorgersi che la
Germania utilizzava strategie simili a quelle che aveva utilizzato negli anni
’90 nei confronti della Germania dell’est. L’euro ha rappresentato
un’estensione del «marco ovest» e delle politiche economiche della Bundesbank a
tutta l’Europa.
Questa
idea è stata presentata come un atto di generosità della Germania nei confronti
del resto dell’Europa. In realtà i paesi più deboli tra cui l’Italia hanno
perso con la c.d. parità di cambio, la possibilità di svalutare la loro moneta
per recuperare competitività e la Germania ha potuto far valere la propria
superiorità nel settore manifatturiero.
Questo
grazie anche ad una politica spregiudicata: gli aumenti di produttività del
lavoro, non sono stati trasferiti ai salari e così la Germania ha potuto fare
prezzi concorrenziali, dato il costo costante del fattore lavoro. Questa
politica spregiudicata era già stata collaudata con la unificazione delle due
Germanie, quando Helmut Kohl con i rapporti di cambio (il fenomeno 1 a 4
ridotto all’1 ad 1) costrinse tutte le imprese dell’Est di colpo a non essere
più competitive con il conseguente calo del 44% del PIL. La conseguenza fu la
disoccupazione nella Germania dell’Est e la dipendenza dalla Germania
dell’Ovest con emigrazione costante.
Gli
stessi fenomeni si stanno verificando oggi con la sola differenza che la
Germania Ovest non è affatto disposta ad effettuare massicci trasferimenti di
danaro come ha fatto con la Germania Est.
La
BCE dal canto suo impone agli stati Europei in difficoltà «austerity e compressione
del costo del lavoro» con cittadini sempre più poveri e Stati a basso consumo
ed in progressiva recessione.
Ed
allora la domanda: Come se ne esce?
Se
ne esce ponendo fine alle politiche di austerity insensate che hanno fatto
precipitare nella depressione economica anche l’Italia. E che anziché far
diminuire il debito pubblico, come promesso, lo hanno fatto lievitare. Non ci
sono alternative o si fanno saltare le regole del c.d. «fiscal compact» o ci
attende un prolungamento della recessione in corso. Secondo molti questo
fenomeno speculativo è da attribuire alla mancanza di un cuore politico, dato
che manca uno Stato federale.
Detta
posizione è un enorme errore in quanto non è con la blindatura politica che si
può eliminare l’assunto profondamente squilibrato dei rapporti di forza in
Europa.
Oggi
l’Europa deve scongiurare il rischio di innalzamento delle Tasse e la Germania
deve aumentare i salari per spingere la domanda interna e diminuire gli squilibri
commerciali in Europa.
Infine,
deve essere posto termine alle politiche di austerity che stanno uccidendo
l’Italia. Se tutto questo non avviene in tempi brevi non ci conviene continuare
a far parte della moneta unica perché il nostro debito diventerà sempre più
insostenibile e saremo costretti a ricorrere (cosa che stiamo già facendo) alla
svalutazione interna, fenomeno già in atto con l’erosione dei salari e dei
diritti dei lavoratori, il tutto a scapito dell’occupazione. Corriamo il
rischio di avere una Nazione di poveri e di disoccupati!
In
buona sostanza tutte le discussioni sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e
quelle sulla liquidazione anticipata sono inutili, oziose e demagogiche, dato
che bisogna raccogliere tutte le energie e cercare unitamente alla Germania di
risolvere il grave problema dell’economia e del lavoro che ci sta soffocando, fino,
in caso di mancato accordo, ad assumere la decisione di uscire dall’euro.
Continuando
per l’attuale strada significherebbe portare l’Italia verso un suicidio
collettivo.