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Home » L’Elzeviro. Parte1/Silvio Berlusconi come Amintore Fanfani. Il “Rieccolo” della Seconda Repubblica

L’Elzeviro. Parte1/Silvio Berlusconi come Amintore Fanfani. Il “Rieccolo” della Seconda Repubblica

Le biografie parallele di due politici che hanno segnato la vita della nostra nazione

Gaetano Avena by Gaetano Avena
27 Luglio 2014
in Politica
L’Elzeviro. Parte1/Silvio Berlusconi come Amintore Fanfani. Il “Rieccolo” della Seconda Repubblica
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Silvio Berlusconi, il “rieccolo della Seconda Repubblica?
E della prima chi fu? 

Lo Dico
per i giovanetti, nell’aleatoria presunzione di un loro interesse, i quali, per
la più parte, ignorano che la nostra, diciamo, civile convivenza abbia la “forma
costituzionale” di una repubblica e le motivazioni politiche del transito dalla
prima alla seconda repubblica, ammesso che qualcosa sia cambiato dall’una
all’altra e che, invece, non sia stata confermata la maledizione di Tomasi di Lampedusa:
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Ebbene, il
“rieccolo” della prima repubblica fu un politicante, un economisticante, uno
storicicante aretino, nato a pieve santo stefano nel 1908 e morto a roma nel
1999.
Si chiamava fanfani Amintore, presidente del senato, 5 volte presidente
del consiglio dei ministri, segretario della d.c., più volte ministro, oltre a
intrigarsi su scranni internazionali di prestigio.

Nel VII gabinetto de gasperi
ministro dell’agricoltura e foreste, il gerarca d.c. promosse una fallimentare
riforma agraria, facendo requisire, ad esempio, petraie murgiane ai
”fottutissimi” latifondisti e ai grandissimi agrari che, pur, non essendo
ciascuno di essi un “trimalchione” (non usciva mai dalle sue proprietà se da
roma s’incamminava per la sicilia) del ”Satyricon” di Petronio Arbitro, accanto
a terreni di lieta coltivabilità con paghe da fame ai braccianti agricoli,
possedevano vastissime estensioni di terra, a bella posta, incolte, anche per
praticare o sfogare in essi o per essi la passione, tipica dei parassiti, della
caccia.

Di queste non vangate proprietà
dei latifondisti fanfani fece operare il frazionamento e su ciascuna delle
frazioni fece costruire case coloniche che gli sfortunati braccianti, subito,
abbandonarono all’unisono con la terra loro assegnata, in quanto le case erano “positae”,
quasi, nel deserto: da esse, difficilmente, si potevano, per penuria di strade
e di mezzi di collegamento, raggiungere centri abitati per il rifornimento di
cibo e di quanto potesse occorrere alla conduzione di aziende agricole, sia
pure, di piccole dimensioni; le frazioni di terra incoltivabili.

A meno che
fanfani non avesse dato agli assegnatari della sua riforma i dollari che gli
ebrei degli “states” diedero ai loro “confratelli” per trasformare il deserto
nel giardino su cui è stato costruito lo “stato cuscinetto” d’israele,
restringendo i millenari Abitanti della Palestina nella “Striscia di Gaza”,
come gli indiani nelle riserve dai compari (inglesi, francesi, irlandesi, ecc.
, ecc.)”ante litteram” degli attuali pronepoti di gesù.

Ma come si conviene ad
ogni ducetto, fanfani fu fatto fesso da suoi servi corrotti, quanto mussolini
dai suoi accoliti.
Infatti, a mussolini, in visita, in buona sostanza,
ispettiva, facevano vedere i medesimi aerei, pellegrinanti da un aeroporto
all’altro, a fanfani, in giro per informarsi dei risultati della sua riforma,
facevano vedere le medesime vacche trasportate da un centro, previsto dalla
riforma, di coordinamento agricolo ad un altro.

“Brevilineo” si autodefiniva!
Per ovviare alla sua “brevilinearità”, indossava cappelli e, d’estate,
pagliette dal “torrino” di consistente altezza, sì che i suoi collaboratori,
diciamo, quando da lontano vedevano apparire un “borsalino” e, poi, niente
altro, capivano che il loro capo stava arrivando e, psicologicamente, si
preparavano ad essere, quotidianamente, strapazzati dai suoi modi bruschi di
“approcciarsi” (va di moda, oggi, codesto verbo melenso) al prossimo.

Fanfani
non aveva compiacenza verso amici, né verso nemici; temutissimi erano i suoi
“motti”, da toscano dispettoso, nei riguardi di chi lo infastidiva, criticandolo,
o di chi si metteva contro la sua presunta carismatica volontà. Onesto, forse,
per essere un democattolico “doc”, “sed”, pugnacemente, autoritario (don
strurzo, il fondatore del partito popolare, lo tacciava di autoritarismo e
l’aretino, per pronta la risposta, protestava che, per essere un prete, don
sturzo non poteva essere, contemporaneamente, un diffamatore), come il suo
“pigmalione”, quel padre gemelli, fondatore dell’ “università cattolica”, che
lo lanciò nel suo feudo di studi superiori, quale docente di discipline
giuridiche ed economiche.

“Padre – padrone”, in privato, nel partito, nel
governo, aveva più nemici che amici, specie nel suo partito e memorabile fu una
scheda introdotta in un’urna della camera dei deputati, quando fanfani si
candidò, senza successo, per l’ennesima volta al “quirinale”: ”Nano maledetto,
non sarai mai eletto!”.

Indro montanelli, toscano, come il nostro (si fa per
dire!), “rieccolo” sul suo “Giornale” stigmatizzava fanfani, quando il
democattolico  riconquistava, dopo
essersi, più volte, inabissato nella polvere, gli onori degli altari e gli
oneri, non masochisticamente, sopportati, di importanti incarichi politici.

Tags: berlusconifanfaniitalia
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