Ogni qual volta il sipario si alza, lo spettatore sa che quello che vede è
finzione e nulla avviene lì per caso.
Gli attori sul palco del Traetta con “A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia sono invece veri,
veri come le loro menzogne.
La storia la conosciamo.
Ci troviamo in un piccolo borgo dell’entroterra
siciliana, in una calda estate del 1964 quando il farmacista del paese, tale
Manno, interpretato da Fabrizio Catalano, riceve una lettera anonima, con la quale viene minacciato di morte.
L’uomo, benvoluto da tutti i compaesani ed estraneo alla politica, aveva
un’unica passione: la caccia, che si fa pretesto dell’omicidio non solo del
giovane ma anche del dottor Roscio,
interpretato da Giacinto Ferro, vero obiettivo dell’assassino.
Sulla scena, fatta con estrema cura barocca, intrisa di simboli cattolici e
mobili borghesi, si staglia il dubbio del professor
Laurana, interpretato da Sebastiano
Somma, che diventa il vero protagonista del giallo.
La risposta sembra essere dietro l’angolo: il retro della lettera con la
scritta “unicuique suum”, le
lettere ritagliate dall’”Osservatore Romano”, ma “i giornali dopo che vengono
letti fanno una brutta fine” e le frasi rimangono strozzate a metà nella
gola.
“Come pensi in
italiano o in siciliano?”
“La lingua siciliana non coniuga i tempi al futuro quindi
come si può pensare al futuro? Nella lettera c’è scritto ‘morirai’”.
Laurana sembra essere l’unico, in quel borgo, ad
avere le carte e a non conoscere le regole del gioco che si sta per ordire
anche alle sue spalle e così le notti insonni a Villa Palagonia si trasformano, come ne “Il sonno della ragione
che genera mostri” di Goya, in gufi, pipistrelli e terribili pensieri che si
materializzano nella sua mente.
Tutto diventa siciliano e al tempo stesso
universale, tutti fanno parte del gioco del potere in cui il vecchio padre di
Roscio è la voce della verità.
“Quid
est veritas?” chiese Pilato
a Cristo. Domanda a cui non seguì risposta e a cui anche lo spettacolo (fatto di
lunghi e faticosi dialoghi, difficili nella comprensione delle volte) giunge.
“Questo è un paese senza
verità, si sarebbe tentati di dire che essa risieda nei libri ma la vita è come
a teatro o una grande farsa o una tragedia, per questo la verità o è oppure non
è”.
I personaggi da Daniela Poggi (Luisa) a Gaetano Aronica (Don Luigi Corvaia) passando per Maurizio
Nicolosi (Postino), Alessio Caruso (Avv. Rosello), Roberto
Negri (On. Abello), Ivan Giambirtone (On
Testaquadra), Vittoria Faro (Lisetta), sono talmente
addentrati nei loro ruoli da non riuscire ad immaginare un altro mondo
possibile, dall’idea di un cambiamento, tanto da mentire a sé stessi come se
non avessero coscienza del male.
Tutto si materializza e diventa, a
distanza di cinquant’anni, aderente alla politica d’oggi: “La destra la conosco e non mi piace. Mi piacerebbe la sinistra ma
vorrei che qualcuno mi dicesse come e dove posso trovarla”.
Per la regia di Fabrizio Catalano, con la cura delle scene e i costumi di Antonia Petrocelli, le musiche di Fabio
Lombardi e l’adattamento di Gaetano Aronica, si giunge così al termine della
storia.
L’impostura nella quale si svolge
la scena diventa sinonimo di morte e questa è solo una formalità.
Tre colpi di pistola mettono
termine alla vita del professor Laurana, che aveva trovato in Luisa e nell’avvocato
e cugino Rosello i mandanti dell’omicidio.
I responsabili sono sempre tra i
più vicini e i nodi prima o poi vengono al pettine…