Si è aperta in questi giorni la rassegna Memento, che ogni anno mantiene la memoria sulle grandi tragedie del ‘900. Ad aprire l’edizione 2020, in coincidenza con il Traetta Opera Festival 2020, Katia Ricciarelli con lo spettacolo dal titolo ‘Recordare’ in memoria delle vittime della Shoah, liberamente ispirato dal Diario di Anne Frank.
Mercoledì, invece, la sezione cittadina dell’Anpi ha ricordato, insieme al suo presidente provinciale Ferdinando Pappalardo e a Gianvito Mastroleo, della Fondazione Di Vagno, la figura e il sacrificio di Giuseppe Di Vagno, politico socialista di Conversano, assassinato a Mola di Bari il 25 settembre 1921 dai fascisti. Soprannominato “il gigante buono” da Filippo Turati, è ricordato come la prima vittima eccellente del fascismo, il primo parlamentare assassinato, ben tre anni prima di Matteotti, da esponenti di un movimento che, in quell’anno, non solo non era ancora al potere, ma non si era ancora costituito in Partito Nazionale Fascista (solo dopo un mese e mezzo i Fasci Italiani di Combattimento divennero vero e proprio partito).
Ad assassinarlo, secondo l’accusa di Giuseppe Di Vittorio, esponenti del fascismo pugliese inviati dal cerignolano Giuseppe Caradonna.
Ad aprire la discussione il professor Pappalardo, che ha invitato ad evitare di confondere il fenomeno della Resistenza, con quello della lotta di Liberazione: «Sono due fenomeni distinti, in due momenti distinti. Se noi li identificassimo taglieremmo fuori il Mezzogiorno, dal momento che la lotta partigiana ci fu oltre la linea gotica, mentre in Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania e Puglia, a parte l’episodio delle quattro giornate di Napoli. Per anni non si è proprio parlato di Resistenza al Sud».
L’altra conseguenza di questo errore, anche peggiore della precedente, per Pappalardo, è che si taglierebbero fuori i contributi alla Resistenza di Gramsci, Amendola, Di Vagno, Gobetti, Matteotti, dei fratelli Rosselli: «Chi erano questi? Non erano resistenti? Sono stati uccisi o sono morti in carcere per essersi opposti al fascismo. Se consideriamo anche questi esempi di lotta partigiana, allora anche il Sud ha dato il suo contributo. Gli episodi sono molti di più di quelli che si pensa. Non è vero che il Mezzogiorno è stato inerte, che ha reagito solo quando i tedeschi volevano fare razzie, senza maturare una coscienza antifascista».
Sulla stessa linea, Mastroleo, che cita il libro “Un anno di fascismo” scritto da Matteotti nel 1923. Libro in cui si ricorda anche l’assassinio di Di Vagno e altri episodi di violenza fascista in Puglia e nel barese.
Nel suo intervento Mastroleo ricorda il contesto storico in cui si inserisce la vicenda: «Nel ’19, comincia ad affermarsi, con la violenza, il fascismo, con le sue diverse articolazioni: il fascismo pantofolaio, quello urbano, che in Puglia si rifaceva ad Araldo di Crollalanza e che era più favorevole ad un patto di pacificazione con le altre forze politiche, e poi il fascismo rurale, più brutale e cattivo, che vedeva tra i suoi esponenti più illustri Caradonna. Di Vagno si trova in questo fuoco. Mentre è tollerato dal fascismo urbano barese, il fascismo agrario decide che è lui l’obiettivo da eliminare. Diverse sono le aggressioni ai danni di Di Vagno».
Mastroleo, a margine del suo intervento, sottolinea anche le iniziative di cui la sua Fondazione, che porta proprio il nome del politico conversanese, organizzerà nel 2021, in occasione del centenario dall’omicidio di Di Vagno: «Sarà un’occasione non solo per conservarne la memoria, ma per fare approfondimento storico. Credo sia giusto parlare di Di Vagno e di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita, non nell’ottica di una retorica celebrativa, ma con rigore storico».
Mastroleo ha, infine, anche ricordato quando si fece portavoce dell’intitolazione di una strada a Giuseppe Di Vagno, durante gli anni dell’amministrazione Valla: «Alcuni anni fa, trovando strano che a Bitonto non ci fosse una via Di Vagno, mi attivai, confrontandomi con il sindaco e coinvolgendo i miei compagni socialisti bitontini. L’amministrazione decise la strada in maniera non perfettamente opportuna, sostituendo il nome di una strada ben conosciuta, nell’immaginario collettivo dei bitontini, con il suo nome originario, ancora oggi, cioè Via Palombaio. I bitontini ancora oggi non si riconoscono nell’attuale denominazione».
L’appello di Mastroleo è, dunque, a trovare un’altra strada da dedicare a Giuseppe Di Vagno, una via in cui la gente possa riconoscersi di più: «Sarebbe un’operazione di sana e condivisa memoria».