Ci sono storie di artisti, dall’estro e dal talento talvolta paragonabile a colleghi molto più fortunati e noti, che tuttavia sono destinate a perdersi in quel grande buco nero che è il naturale oblio del tempo. Personaggi la cui arte è rimasta confinata ai contesti locali, schiacciata dalle difficoltà economiche che non permisero loro di affermarsi oltre quei ristretti ambiti territoriali.
A loro, ai musicisti dimenticati di Puglia, è dedicato il progetto discografico “Lost Tapes“, curato dal musicista Livio Minafra (figlio d’arte del jazzista Pino Minafra e di Maria Porfido, pianista e clavicembalista). A distribuirla è Angapp Music. Appena pubblicato su tutte le piattaforme digitali il volume 19, dedicato a Marino Pellegrini, il “piccolo Chopin” di Ruvo di Puglia.
Nato nel 1888, era più comunemente noto come Mèstə Marənuddə, perchè Marino Pellegrini fu in realtà un barbiere. Sebbene fosse un musicista e compositore straordinario, la sua figura è rimasta per troppo tempo nell’ombra. Sicuramente perché il “piccolo Chopin” mai conobbe le aule formali della musica classica e non ebbe modo di frequentare neanche la Scuola di Musica Comunale della sua città.
Nonostante ciò, la sua musica, ricca di emozioni e contrasti, di rara bellezza e semplicità, è in grado di riflettere la bellezza e la durezza del sud Italia del primo ‘900.
«Paragonabile, per certi versi, a certe melodie di Chopin. e questo è veramente impressionante – azzarda Minafra -, perché non credo che Pellegrini conoscesse e avesse ascoltato Chopin. Faceva il barbiere e non aveva mai studiato formalmente musica. Ma la sua abilità di improvvisatore e la sua capacità di trasformare un semplice motivo in una melodia di grande potenza evocativa lo rendevano simile a maestri come Chopin e Schubert».
Un lavoro di recupero difficile. Miracoloso lo definisce il curatore, evidenziando l’alto rischio che tutto quel patrimonio si perdesse con il tempo, insieme agli ultimi testimoni oculari: «Di Pellegrini mi ha parlato una persona ottantenne che lo conobbe quando aveva appena dieci anni. Un secolo fa non c’erano le fotocopie e nei paesini di provincia non c’era la possibilità di approvvigionarsi di un repertorio, ad esempio comprando spartiti. All’epoca si danzava a suon di valzer, quadriglia, mazurka, polka. Ma non essendoci repertori scritti, si suonava ad orecchio, con melodie inventate».
Nel volume 19 sono presenti nove melodie, rielaborate e reinterpretate da Livio Minafra, con la partecipazione di altri musicisti, tra cui Enzo De Leo, Michele Tempesta e Alessandro Pipino, Antonio Biancolillo, Paolo Montaruli, Nico Marziale, Claudio De Leo, Franco Sette e i magnifici. Le musiche contenute raccontano storie di povertà e tristezza, ma anche di speranza e lotta, evocando un’Italia rurale povera, ma incredibilmente viva. Melodie che l’autore, insieme ai colleghi, suonava tra un cliente e l’altro, nella sua bottega, spesso improvvisando con mandolini, chitarre e fisarmoniche.
«Quella bottega divenne un punto di ritrovo e la sua musica fu richiesta in matrimoni e feste popolari – continua Minafra -. Pellegrini non scriveva la musica: le sue composizioni vivevano nella tradizione orale, tramandate da un musicista all’altro, senza spartiti e nomi specifici. I brani divennero un patrimonio musicale di Ruvo. Un patrimonio che il tempo aveva quasi cancellato».
Il progetto Lost Tapes è nato nel 2017, con l’obiettivo di preservare e raccontare la storia del jazz italiano. Tra gli altri musicisti dimenticati a cui è stato reso omaggio nei volumi precedenti, ci sono il giovinazzese Nunzio Iurilli, il bitontino Mauro Fanelli, il biscegliese Mimì Laganara, Santino Dirella, Meneghino Saulle, e Franco Sette Celluz, Filippo Pellicani ed Enzo Lorusso, questi ultimi ruvesi come Pellegrini.
«In tutte le città del Sud ci sono storie simili. I Marino Pellegrini sono tanti e andrebbero riscoperti prima che si perdano le già fragili tracce che oggi restano. È importante per capire meglio le nostre radici» conclude Minafra aggiungendo alle motivazioni che l’hanno portato ad intraprendere quest’impresa, anche un’altra: «Provo una sincera rabbia, un senso di ingiustizia verso questi grandi personaggi che, a causa dei naturali limiti temporali a cui l’umano è costretto, vengono dimenticati. Fare un esercizio di recupero significa dunque, anche fare memoria attiva e viva delle cose belle del nostro passato».