La fisica epicurea fece commuovere il giovane Marx: gli brillarono gli occhi quando nella sua tesi di laurea parlò del Clinamen, o Parenklisis, che dir si voglia. Questo perché, per l’ancora inconsapevole capitalista, rappresentava la possibilità di poter essere liberi, rappresentava la Libertà. Quella con la maiuscola.
In questo scritto non approfondiremo questa tematica sotto forma marxista e, forse, biografica, ma ci è sembrato un ottimo modo per iniziare l’elucubrazione: rende positivamente istrionica l’importanza che questi due concetti, differenti solo per il mondo dal quale provengono, hanno sull’ideale della Libertà.
Andremo, quindi, ad analizzare queste due peculiarità, che contraddistinguono la fisica epicurea da quella democritea, le quali piantano il seme di un fiore dagli infiniti petali: la Libertà. O il poter essere, il poter fare incoercibilmente, come preferite.
Prima però è necessario inquadrare il significato che si cela dietro queste due parole: deviazione. Democrito, questo, non l’avrebbe mai consentito: per lui la fisica atomistica è statica, asettica, ed in un certo senso, predefinita. Già scritta. Il clinamen risulta quindi essere una possibilità dinamica, dell’atomo, divergente rispetto a quanto da lui pensato: è la possibilità di poter andare “fuori traiettoria”.
Torniamo alla tematica principale, la Libertà: presupponendo che questa rappresenti la suddetta deviazione, meglio, la possibilità che effettivamente possa esserci una deviazione, risulta compromettente nei confronti della sua mistificazione da parte dei più, almeno dialetticamente. Questo perché, considerando quanto sinora detto, la Libertà in quanto tale non risulterebbe essere un concetto primigenio ed a sé stante, alto e potentissimo, anzi, tutt’altro: è causa di un qualcosa di non previsto, non prevedibile; oserei dire quasi patologico, fingendoci Democrito.
Eppure, ciò non significa assolutamente che sia iniqua o surrogata di un qualcosa, tutt’altro: teoreticamente parlando, è un derivato causale che permette conseguenze esplicitabili in azione maggiori rispetto alla sua provenienza, la staticità. Non parleremmo di Libertà, altresì!
In sintesi: la fisica democritea prevede un divenire statico e freddo, quasi coercitivo per l’uomo, nel quale non vi è effettiva possibilità di scelta, ed anche se ci dovesse essere, sarebbe solo un’ “illusione programmata”. Essere liberi è quindi essere divergenti: seguire pari passo una deviazione, distruggere le catene della coercizione; significa non solo scegliere, ma anche poter scegliere e, soprattutto, poter scegliere la propria scelta.
Lucrezio elargisce al popolo romano questa pillola amara, la Libertà in quanto deviazione, nel suo “De Rerum Natura”, addolcendone il gusto: ossia, sotto forma poetica. Dice:
“A questo proposito voglio che tu sappia anche che, quando i corpi cadono diritti attraverso il vuoto per il loro peso, in qualche tempo e luogo non definiti deviano per un poco, tanto che appena può dirsi modificato il loro percorso”
Certo, “tanto che appena può dirsi modificato il loro percorso”: non è una deviazione diretta e visibile ad occhio nudo, eppure, c’è anche se piccola, e profuma di Libertà. Second’egli, questa è la forma migliore per un popolo come il suo: questo non riuscirebbe a cogliere il senso di un ragionamento logico-argomentativo serrato. Indirettamente, scrivendo in versi, ha anche attutito il colpo che una rivelazione scabrosa del genere poteva dare: per questo penso che sia il modo migliore, quello della dolce poesia, per poter somministrare un farmaco amaro come questo.
Questa sostanza deviante, infatti, potrebbe stupefare gli avidi di azione secondo libertà: è meglio per loro ingerire tramite poesia, non ne soffrirebbero così malamente, non avrebbero reale terrore di tutto questo. Se la poesia è bella, allora quel che dice è tutto bello, no?
Chissà se costoro saranno mai consapevoli della verità dietro il bello: spero di no, potrebbero rimanerci secchi.