La Cattedrale “liberata” torna all’antico splendore.
Che cosa può raccontare alla città e suscitare in Bitonto questa buona notizia?
Non risuona stridente il contrasto fra tanta bellezza, tanta luce ritrovata e così tante ombre, tante pene di questo nostro tempo?
Non è fuori luogo questo annuncio in giorni segnati dalla violenza, dal dolore, dall’indifferenza spinta fino al rifiuto, dall’esclusione, dall’isolamento, dalla chiusura?
Lo splendore torna dopo mesi di apparente buio, di prolungata chiusura.
Ma in realtà cosa accadeva dietro le “quinte” del restauro? Qualcosa di “essenziale” e quindi “invisibile agli occhi” direbbe Antoine de Saint-Exupéry.
Un lavoro, lungo, tenace, impegnativo, faticoso, umile, certosino: tutti gli “ingredienti” necessari per ogni lavoro fatto bene, per ogni rinascita non effimera.
Se la Cattedrale non è solo un luogo esclusivo dei credenti, ma un simbolo unificante della città, alla riparazione di quale “casa”, a quale restauro, personale e comunitario ci chiama questa opera?
Giorgio La Pira invitava a “rifare le cattedrali centro delle città” perché diceva che la cattedrale insieme alla “casa, l’officina, la scuola e l’ospedale” sono i simboli visivi delle speranze umane.
Ma l’invito del sindaco di Firenze era anche quello di creare e conservare intorno alle cattedrali un contesto umano e familiare dato innanzitutto dalla cultura dell’abitare la città. Come? Con progetti in cui gli “eventi”, per non sbriciolarsi nell’effimero, siano anche o soprattutto mettere al centro le persone , le relazioni, le piccole comunità, i luoghi di incontro, le parrocchie (comunità fra le case), le famiglie.
La Pira ha parlato spesso di “tornanti” nella storia, cioè tempi privilegiati, eventi favorevoli (“kairoi” secondo la terminologia biblica), in cui si gioca il destino di molti uomini.
E questo che stiamo vivendo, anche a Bitonto, non è con ogni, impetuosa, dolente e lacerante evidenza un tornante della storia?
Saremo capaci di trasformarlo in kairos cioè tempo favorevole?
Il sindaco di Firenze sottolineava che quello che serve nelle città non sono solo semplicemente opere di “restauro” delle vestigia di un glorioso passato.
Al centro dell’attenzione sono i pressanti e concreti problemi umani dell’oggi: il pane, il lavoro, la casa. Con chi oggi dobbiamo e non vogliamo dividere a Bitonto il pane, il lavoro, la casa?
“Si tratta – diceva La Pira – di cogliere il nesso vitale tra città umana e divina, tra speranza teologale e speranze umane, si tratta di compiere l’opera di trascrizione della rivelazione di Dio nella città dell’uomo, che abbraccia la cattedrale e l’officina”.
“Ma per fare tutto questo – aggiungeva il sindaco di Firenze – era necessaria la macerazione interiore, la contemplazione, il silenzio e anche le prove interiori”.
Per questo – ha scritto il cardinale Martini – “La Pira rimane, anche in tempi assai diversi dai suoi, attualissimo maestro di penetrante discernimento spirituale: ci insegna a decifrare l’anima del tempo, la direzione e i movimenti profondi della storia, quella che egli chiamava la storiografia del profondo. Ci insegna a osservare il divenire storico con la sensibilità di chi bada soprattutto ai moti della coscienza dentro l’orizzonte del disegno d’amore di Dio, di chi sa quindi porre l’accento sulle dinamiche di lungo periodo, oltre le increspature contingenti della storia, di chi sa interpretare il tempo nella luce della speranza, attento a cogliere i segni dello Spirito contro i profeti di sventura”.
Sapremo anche noi, oltre le increspature della cronaca, costruire una bellezza che salvi la città e ritrovare lo splendore della dignità per tutti gli uomini e le donne che la abitano?