La
riforma della scuola sarebbe sbagliata fin dal titolo: la buona
scuola.
Già,
perché quella che fino a oggi il Belpaese ha dato ai suoi piccoli
figli era cattiva, come cattivi, quindi, erano i docenti.
Ovviamente,
poi, gli inganni sarebbero nei contenuti. E non pochi: renderebbe la
scuola contraria ai principi sanciti dalla Costituzione, non darebbe
un euro di risorse aggiuntive perché deve accogliere 150 mila
docenti (che sarebbero sottopagati, ci mancherebbe altro);
costringerebbe a fare formazione (pagata da chi? E come?) ai docenti,
che adesso saranno valutati e avranno un punteggio. E un punteggio
maggiore vuol dire paga più alta: 60 euro al mese ogni tre anni, ma
soltanto per 2 professori su 3.
Addio
alle supplenze, pochissima didattica, investimenti su strumenti
tecnologici (le lavagne Im, ma non tutte le scuole sono provviste e
hanno due punti oscuri: manutenzione eccessiva e troppo costosa e
funzionano soltanto con la connessione Internet), e troppo punitiva
per quelle insegnanti che hanno figli.
L’associazione
docenti bitontini – in attesa di mandare una mail con tutte le sue
proposte al ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini –
esprime le sue perplessità sul disegno di legge con il quale il
governo Renzi vorrebbe riformare la scuola e rimetterla al centro
delle politiche di sviluppo del Paese.
«E’
una riforma – è
l’idea di Carmelo D’Aucelli, dirigente scolastico dell’istituto
“Nicola Fornelli” – fatta
non dal basso ma da un gruppo di tecnici che non tiene conto della
didattica. La scuola non va pubblicizzata ma deve avere una
riflessione costante e deve ripensare al suo ruolo nella società».
La
buona scuola di Renzi, in effetti, sembrerebbe pensare a un suo nuovo
ruolo sociale, perché l’idea è quella della scuola 2.0, «con
le aule non più viste come le normali 4 mura – sottolineaFrancesco Bellezza, ex preside della Fornelli – e
l’insegnamento visto come qualcosa di liquido, gratuito,
modificabile».
Quella
più “incazzata” è Rosanna Pelillo, già assessore alle Pari
Opportunità, che non le manda certamente a dire, convinta che la
«buona
scuola non può essere tale se non mette risorse e investimenti». E
la vicinanza con il mondo del lavoro? «E’
una presa in giro – dice
convinta – perché
al Sud che c’è tanta disoccupazione non può funzionare». Per
non parlare poi della meritocrazia, e di una scuola che con questa
riforma «va
sempre più nelle mani dei privati – arringa
ancora –ed è sempre più simile a una fondazione». Senza
dimenticare, infine, gli stipendi dei docenti, tra i più bassi
d’Europa.
Dalla
città dell’olivo, allora, inviano a Roma un messaggio forte e
chiaro: «la
riforma ha soltanto belle parole ma ha effetti devastanti».