Caro Marco,
Con tuoi Libelli dal Titolo ”Ogni
giorno è storia a Bitonto” siamo giunti ai mesi di agosto e settembre. Poiché
questa Epistola, a TE Inviata, sarà Partecipata, anche, ai miei 25 lettori,
vorrei ad Essi Acclarare il tuo Metodo
di Raccontare la Storia (“Non c’è storia, senza racconto, senza possibilità di
narrarla”. Così, dopo aver Affermato ciò con Jean Baudrillard”, TU hai Scelto
un “percorso particolare, quello dell’OGNI GIORNO…”), Facendo Tesoro,
”prendendo a prestito le ricerche, le fonti, i ‘suggerimenti’ degli ‘storici’
bitontini, dall’Acquafredda ai nostri giorni”. In cosa consiste il particolare “percorso dell’OGNI GIORNO” ? In roma:
Quinto Ennio Racconta, come Suggerisce il Titolo dell’Opera sua
(Annales), la storia di roma “anno per anno” dalle origini fino a 171 a.c. Poi,
Cornelio Tacito Scrisse un’Opera, che, in Verità, Egli Intitolò “Ab excessu
divi Augusti (Dalla morte del Divino Augusto)”, ma che nel distendersi dei
secoli Passò per “Annales” e copre i regni
dei quattro imperatori succeduti ad angusto.
Nel secolo XX in francia Operò l’
”Ecole des Annales”, Rappresentata dal più importante Gruppo di Storici
Francesi (tra gli Altri, Febvre, Bloch, Pirenne) di questo secolo, celebre per
aver Introdotto rilevanti Innovazioni nello Studio della Storia, cioè, il
Coinvolgimento di altre Discipline, come l’Economia, la Geografia, la
Sociologia. Tra la seconda parte del XX secolo e la prima parte del XXI (la
salute, certamente, TI Sorreggerà per Completare il tuo lavoro, nel
Considerare, nell’ Esaminare gli umani rapporti, registrati dalla microstoria bitontina, agganciata alla
macrostoria italiana, europea, mondiale nei mesi di ottobre, novembre,
dicembre)) Appaiono i tuoi “Dies mensium”: Ragguagli (che io sappia, TU per
primo e, non credo, imitato!) i tuoi Lettori
non su ciò che sarebbe accaduto, “sed” su ciò che “è” accaduto (“Il
senso della Storia, Proclama Lucio Villari, è questo: la Storia è ciò che è
accaduto. E se l’accaduto non è razionale, come avrebbe voluto Hegel, è però
reale”. “Per Umberto Eco “la storia serve a capire non come le cose potrebbero
andare meglio, ma perché vanno così come vanno. Ecco, la storia non serve a
sapere dove si va, Ma DA DOVE VIENI”. Sono Citazioni tue) nei giorni dei mesi
di cui si compone un anno, non importa quale anno.
Caro Marco, voglio DirTElo ”statim”,
prima che l’Incedere del Discorso mi Porti “in medias res”: il tuo Impegno di
Scrittura Merita la Lode, soprattutto, per la Dovizia di Citazioni che Doni al
Lettore tuo.
Infatti, come, perentoriamente, Sostenesti in un tuo Intervento,
Esse hanno la medesima funzione dei chiodi conficcati in un muro sui quali si
appende un quadro. Le Citazioni Servono a Costringere il Lettore ad Innalzare gli occhi suoi alla Contemplazione del Vero e
del Bello, Oggetto dei Brani Citati. Caro Marco, perché non Inscrivere nella
Storia di bitonto le tue due bocciature (io ne patii una nel primo liceo
classico, per non sottacere che il mio, diciamo, “cursus studiorum” diverse
volte fu macchiato di riparazioni ad ottobre) subite, rispettivamente, nel ginnasio inferiore (artigliato dal
democristianicissimo prof ricciardi, poi, divenuto provveditore agli studi:
alcuni, non io, pettegolano, ad opera, anche, di un potente parente
democristianicissimo) e nel primo anno del magistrale. Quando Penso a TE e ai
maestri della tua classe d’età, maturati al “Dottula di bari”, raggiungibile,
dopo una levataccia alle sei del mattino, per essere in classe alle 8, con la
vecchia” ciuf, ciuf”, ossia la “Bari-
Barletta”, che aveva un tempo di percorrenza di due ore per bari e il
medesimo per il ritorno alle sedici del pomeriggio a bitonto, devo Concludere
che la, pur, Stoica vostra Sopportazione di tanti disagi avrebbe potuto,
incidere, più negativamente, sul vostro “curriculum” scolastico, se TU e i tuoi
compagni di sventura (Ricordo: Nicola Rossiello, Cannito, Pasculli) non foste
stati la Incarnazione dell’Eroismo, mai, Dissolto nella rassegnata inazione.
Sono sicuro che il vostro Ironico, Edoardiano
Motto fosse: “Adda passà a nuttat”. Ed è Storia di bitonto la Fioritura,
da tanta sofferta umiliazione di due adolescenziali insuccessi, di un Uomo,
come TE, di un Cristiano. Scusami, se non TI definisco un cattolico, ché TI
assocerei alla caterva di farisei, di sepolcri imbiancati, che bitonto ha
partorito, partorisce; a quel bertone, a quei 30 cardinali che, a detta del
bertone, avrebbero magioni più lussuose del suo attico, ristrutturato con il
denaro distratto dall’Ospedale “Bambin Gesù”. Altro che la Stalla, da Francesco
(non il bergoglio: le fastidiose menzioni delle sue scontate, generiche,
sociologiche banalità, che adombrano la “crisi di una religiosità senza
profezia, senza carismi”, sono, ormai, diventate un “trend”, un tormentone),
Messa al Centro del suo Presepe, riscaldata dal bue e dall’asinello! Altro che
la ”genuina passione evangelica e, spesso, anche civile, patriottica” di Padre
Agostino da Monteferltro, arrivato a bitonto il 5 settembre del 1892, dell’Ordine
dei Minori, che Parlava del suo “Precursore”, come di Colui che aveva Preso da
“Cristo l’ultimo sigillo”; che Trasfondeva “nelle sue prediche l’afflato primordiale
del Poverello, “testimonial” della Bellezza del ”vivere secondo la norma del
santo vangelo”. In aggiunta, la Fioritura di un Politico che, se fosse stato
più ambizioso, avrebbe Meritato ben Altro che il, pur, autorevole Scranno di
Consigliere Comunale; di un Raffinato Critico Cinematografico (prima di tua
Moglie, Incontrasti il Cinema e prima dei tuoi Figli, Cullasti i tuoi Registi e Attori Preferiti);
di un Maestro, nel Significato Letterale e in Quello che ci Offre il Sovrasenso
Etico; di un Divulgatore di Cultura
Instancabile. In fondo alla prima pagina del tuo Libello, ove si snocciolano i
giorni di settembre, Noto con Commossa Rimembranza la foto di Andrea Taccone,
il vescovo della mia e di mio fratello “prima comunione” e della “cresima”.
Grazie ai buoni uffici di mons. Leone, parroco di sant’egidio, il buon Andrea
accettò di officiare i due “sacramenti”, di cui sopra, in forma privata a me
(“padrinato” dall’avv. Pasquale Buquicchio) e a mio fratello
(”padrinato”dall’avv. Riccardo Tisbo). La chiesa di sant’egidio, riccamente,
addobbata, un discreto numero di musicisti a fare da colonna sonora alla
Liturgia Gregoriana, ovviamente, in Latino e un soprano a Intonare l’”Ave
Maria”di Schubert. Seguì il serale ricevimento (“buffet”, preparato dalla
“Pasticceria Gambrinus”) a cui furono invitati un buon numero di parenti e
amici. Io Avevo 8 anni e mio fratello 10 nel 1946, appena finita la guerra;
appena caduto mussolini e tanta fame in
giro. Mio padre faceva parte dell’Amministrazione Comunale del Sindaco
Calamita, Insediata dagli alleati del generale alexander in sosta a bitonto,
come Assessore alle Finanze. Ebbene, il giorno dopo la festa, per la mia
famiglia e per mio padre, soprattutto, fu il giorno della tempesta. Una folla
di femmine inferocite, aizzate dal segretario del p.c.i. dell’epoca, un avvocaticchio
fallito, si riversarono a “Palazzo Gentile”, intenzionate a dare ”bone mazzate”
a mio padre, accusato, a “tortissimo”, di aver organizzato la cerimonia della
prima comunione dei suoi figli con i soldi del comune. Non so come mio padre
abbia scansato le non tenere effusioni delle scalmanate in branco, ma So che
bitonto, dopo quella spiacevole rivolta, Perdette un Amministratore Capace, Competente.
TE lo Dice un Figlio, caro Marco, che fu, ognora, in immedicabile conflitto con
suo padre, fino alla sua morte e oltre! C’è, caro Marco, nel tuo Libello, in
cui si snodano i giorni agostani di Storia, la Citazione del Giudizio del Sindaco
di Firenze, dal 1966 al 1967, Piero Bargellini, “scrittore e critico d’arte”
sul Pittore bitontino, Gaetano Spinelli. Quale tonfo culturale! Da La Pira e
Bargellini al carneade nardella, di
renzi meschino sodale, che ignora la quantità e l’Immensa Qualità dei Tesori
d’Arte, di cui è Ricca la Città che amministra. Perché bitonto non ha subito il
medesimo destino della Patria di Dante ? Ad esempio: dal Prof. Domenico
Saracino a una pletora di eccetera, eccetera; dal Prof. Nicola Pice a un lungo
eccetera, fino ad oggi; “di diman non v’è certezza”! Ebbene, la Citazione, testé
da me Preannunciata, che sto per Trascrivere,
è una Perla, Cresciuta nella
Conchiglia del tuo Libello: ”La pittura per lui era la vita, e la vita era luce
e calore. Credo che dipingesse con la tavolozza esposta al sole, per avere
l’illusione di intingere il pennello direttamente nei raggi caldi e vivi”. Il
Sole! Che (per Parafrasare, il Commediografo Aristofane, uno dei Personaggi del
“Simposio” di Platone) dio, invidioso della Perfezione (il cerchio è la
Perfezione tra tutte le figure geometriche) dell’Astro, avrebbe diviso (come
Zeus avrebbe fatto con l’Ermafrodita, sezionandoLo in maschio e femmina, due
parti in continuo, struggente “studio” di riunirsi) in Aurora e Crepuscolo o Tramonto,
due Solari Epifanie, Solidali, quando S’Immaginano
Riattaccate, nell’Essere il Simbolo
della Bellezza e della Verità. Insomma, per Bargellini, la Materia e lo Spirito
della Pittura di Gaetano Spinelli. Ma nel medesimo Libello c’è l’accorata
notizia del Martirio, patito il 28 agosto del 1633 dal gesuita bitontino, Padre
Giacomo Antonio Giannone, che sulle Orme di San Francesco Saverio, anch’Egli
Martirizzato in terra di missione, cioè in estremo oriente, S’era Avviato nelle
”tante periferie cattoliche pronte a diventare le frontiere dell’Evangelo in
espansione ’fino agli estremi confini della terra’ ”. Il Giannone morì, “dopo
un’atroce tortura durata ben tre giorni: rimase sospeso a testa in giù su una
fossa”. Caro Marco, è indefinita, interminata la capacità dell’uomo
d’inventarsi i modi, gli strumenti, i pretesti per far soffrire il Prossimo,
specie, se solo o isolato o emarginato o inerme. Fedro “Docet” con la Favola
del ”Lupo e dell’Agnello”. Altro che “Ama il prossimo…”! Però, però, caro
Marco, i papi, quando poterono, ché collusi con i vari detentori del potere
politico, protagonisti della tormentata Storia del Mondo, che in loro ausilio
invocavano (pur se, ufficialmente, invocati in ausilio della “Santa Madre
Chiesa”), non si tirarono, giammai, indietro nell’impetrare massacri,
nell’innalzare patiboli, nell’accendere roghi contro gli “infedeli” che, per la
più parte, erano Mallevadori di un Dissenso Culturale, Teologico, di Stili di
Vita Incompatibili con la depravazione, la corruzione, il lusso sfrenato dell’alto
clero cattolico e della curia vaticana o apostolica (???). Vogliamo, se non ti
dispiace, ad esempio, Esaminare, brevemente, le crociate contro i Càtari o Albigesi
? La prima fu scatenata da innocenzo III a Béziers (20mila morti) nel 1209 e
durò fino 1229; come ricompensa, ai
crociati fu concesso d’impossessarsi dei beni e delle terre dei seguaci del
“Catarismo”. I ”Càtari”, mai, Si definirono tali: Cristianamente, Si battevano
in Nome di una Fede Pura. Si Opponevano in questo senso alla chiesa cattolica
che, secondo loro, aveva dimenticato le Lezioni Impartite nelle Sacre
Scritture, impegnandosi, invece, nelle lotte di potere e nella ricerca del
denaro. Ecco, la “fecondità… l’attualità della Storia”, di cui TU Parli. Inoltre,
vorrei Fare, per DonarTI qualche Dialettico Appunto Critico, buon Uso di una
tua Citazione di Du Camp: ”La buona storia è come Giano bifronte: deve vedere
dall’una e dall’altra parte lo stesso cammino”. Ebbene: “Dopo l’assedio di
Montemar, dopo l’…apparizione della Madonna… Don Camillo Regna superati i
momenti mistici dell’intervento divino
per contenere il previsto bombardamento della città”. Da come si legge questo Brano
tuo, pare che dai per, certamente, apparsa la madonna a montemar. Mentre, non
la madonna, ma una bella donna spagnola, secondo il “gossip” storico, avrebbe
con i suoi “boni” uffici mediato con il generale spagnolo la salvezza di
bitonto. Ancora: ”…mentre il secolo dei Lumi spargeva le sue tossine su un
mondo decrepito”. “ Ubi Major, minor cessat” e, umilmente, Cedo a Immanuel Kant
l’Onere di Definire l’Illuminismo: ”L’ Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo
stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità
di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se
stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di
intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del
proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Abbi il coraggio di
servirti della tua propria intelligenza! E’ questo il motto dell’illuminismo”.
Sarebbero queste le tossine o non, invece, la terapia che avrebbe corroso, che
potrebbe corrodere quella imbecillità diffusa, di cui Gramsci S’Addolora e che
TU Citi ? Ancora, il latifondo, sia nel breve Regno di Murat, sia dai
governanti liberal – massonici dell’italietta unita, non fu mai dismesso,
smembrato. Le distese delle petraie murgiane, furono toccate dalla cosiddetta
“riforma agraria” del non compianto fanfani. Subito dopo l’unità d’italia fu,
invece, toccata la “mano morta”, cioè, le
terre, i beni dei conventi e dei monasteri, che, secondo la propaganda
governativa, dovevano essere distribuite a prezzo politico a “braccia alacri” e
dissodate da “aratri”, altrettanto, “alacri”. Ciò non avvenne, ché i preti dai
pulpiti (magari in quelle circostanze avessero operato le “tossine” dell’Illuminismo!)
tuonarono e spaventarono coloro che possedevano, soltanto, braccia alacri,
minacciando loro pene infernali, se avessero comperato quelle terre,
peccaminosamente, sottratte alla disponibilità dei ministri di dio. Così,
quelle terre furono acquisite “dagli, allora, furbetti del quartierino”, quasi,
“a gratis”, che formarono una nuova, egemonica classe sociale, in sostituzione
della nobiltà parassitaria o con essa fusa, al sud: la borghesia agraria,
sempre, in combutta con borghesia industriale, al nord, le madri del fascismo e
delle tragedie che esso determinò. Quindi, Caro Marco, non si trattò di “prove
di anticlericalesimo militante, “sed” del realizzarsi della tremenda profezia
di Tomasi di Lampedusa. E il popolo di bitonto? Tra papi, vescovi, frati,
monache, tra aragonesi, angioini, svevi, borboni, savoiardi, tra lombardi,
ungheresi, tedeschi, tra le mene di 23 famiglie che ”godevano della nobiltà”,
diseducato alla Dignità dell’Azione, al Coraggio della Decisione, afflitto
dall’ ”indolenza che rimarrà proverbiale”, trascorreva e trascorre il suo tempo
a ripetere il cantilenante: ”chi mo’ fa, fa” (l’antesignano dell’accidia
partenopea) ché “le tante ”stazioni” affollate e nevralgiche delle invasioni,
delle culture, delle sovrapposizioni… e delle dinastie, degli intrecci… hanno
lasciato il segno nel carattere
bitontino, nel suo vagare da vincitore a vincitore, da un “termine lapideo” ad un altro, da una
moneta ad un’altra…”. Amara è la tua Conclusione! E pare che TU Asseveri: così,
senza alcuna Discontinuità, Etica, Culturale, Politica, nel Modo Antiparrucconistico
di Vivere la Fede Religiosa, nei Tempi.