Nell’ottobre del 1971 “la
navicella del mio ingegno” (Purgatorio, canto 1°, v. 2) approdò a Silanus, in
Provincia di Nuoro, grazie ad un incarico a tempo indeterminato nella sua Scuola Media per l’Insegnamento
di Materie Letterarie e Latino (in quel tempo il Latino non era stato, ancora,
colpevolmente, defenestrato dalla Scuola Media con l’”excusatio” razzistica
che i ragazzi, provenienti dalle classi popolari, avrebbero trovato difficoltà
nell’apprendimento di questa Nobile Lingua).
Per Rodare il mio Discorso, con
indicibile Commozione vorrei Ricordare a ME Stesso un Ragazzino di Prima Media
che, quando Firmava i suoi Compiti in classe, in calce al suo Nome e Cognome
era, amabilmente, Solito Aggiungere: Silanus in Provincia di Nuoro, in
Sardegna, in Italia, in Europa, nel Mondo.
Egli Compiva in Modo, misticamente,
Iniziatico un Viaggio!
In pillole: come Bonaventura da Bagnoregio o Bagnorea(“Itinerarium mentis in Deum”: la
Perfezione della Creazione è il Segno dell’Opera di Dio che
Si può Contemplare con l’Intelligenza) o come Emily Dickinson che Componeva
Poesie ché Viaggiassero per Lei.
Con la sua fervida Fantasia il mio piccolo
Alunno Si Muoveva, non SpostandoSi dal suo banco, in tutte le direzioni dello Spazio, in tutti i tempi del Tempo.
Silanus, un paesino di poche migliaia di abitanti situato a 800 metri sul livello del
mare, non lontano da Ottana, ove nel 1971 si stava costruendo un petrolchimico,
una sorta di cattedrale nel deserto, come tante nel mezzogiorno d’italia, per
industrializzare, con risorse statali e regionali, donate a fondo perduto a
rapacissimi “impresaioli” lombardi, ammanigliati con il classico ”do ut des” ai
potenti di turno, regioni dello stivale
che non andavano industrializzate, non tenendo conto della loro Storia, della
millenaria loro Economia, della compatibilità con il loro intonso Ambiente; non
lontano da Orgosolo, la patria di graziano mesina che, per essere, allora,
“uccel di o nel bosco”, aveva riempito tutto il nuorese di una caterva di poliziotti e carabinieri,
armati di tutto punto, per controllare con sguardi torvi tutti coloro, compreso
ME, sfortunatamente, costretti a transitare dai loro paraggi.
A Silanus, si
arrivava e, forse, si arriva con un trenino, da “far west”, che, partendo da
Macomer, importante snodo ferroviario sardo, finiva il suo faticoso viaggio a
Nuoro.
Da una stazioncina, molto malmessa, a piedi, percorrendo in impervia
salita un viale di più di un chilometro, si agganciava e, certamente, si
aggancia, ancora, il Centro del Paese, di cui sto Discorrendo.
Ai due lati del
viale una lunga fuga, che MI attanaglia il Cuore e la Mente, se ad essa MI
Riferisco, di Croci a Rimembranza dei Giovani Silanensi o Silanesi, che avevano
sperimentato il duro volto della patria, quando i reggitori di essa li aveva,
legiferando la “coscrizione obbligatoria”, in carri bestiame trasportati alla
carneficina sul “carso” o alla “decimazione” dopo “caporetto” nella prima
guerra mondiale.
Guerre mostruose, la “prima e la seconda mondiale”, con milioni di morti tra le popolazioni
civili e i giovani militari, quale che
fosse la divisa indossata, con città rase al suolo, volute, fatte preparare,
dichiarate non da folli, ma da capi di stato, da regnanti (tra l’altro, quelli
europei, in qualche modo, tra di loro imparentati.
Perfino, il pecoraro re del
montenegro aveva mandato la figlia elena, andata, poi, sposa a vittorio emanuele
III, a dirozzarsi e a purgarsi del tanfo di stalla della reggia paterna, in
russia, in casa, diciamo, dello zar
nicola, suo parente, prima che costui con tutta la sua famiglia fosse
massacrato dalla rivoluzione dei bolscevichi) di normale quoziente
intellettuale, normalmente, buoni papini e mammine, normalmente, cornificanti o
cornificati/e, cultori o cultrici di passioni, non di alto spessore, a dire il
vero, come quelle della massa globalizzata dei condòmini, abitanti gli odierni
casermoni – alveari dei piccoli o
metropolitani insediamenti.
Ad esempio, vittorio emanuele III era un provetto,
competente numismatico filatelico, sì che, interessandosi di francobolli,
l’unico negozio di cui poteva menare vanto, s’era fatta una parvenza di cultura
storico – umanistica, a differenza di suo padre e, specialmente, di suo nonno,
che a stento riusciva a comunicare in italiano, la cui unica occupazione era
andare a caccia, anche, di gonnelle, non proprio aromatizzate da “dior”.
Torniamo al mio soggiorno in Sardegna.
Nell’autunno, ripeto, del 1972 Arrivai
in Sardegna, non accolto con la consueta Cortesia che agli Ospiti Spetta e Si
Deve.
A differenza, infatti, dei siciliani, che avranno mille altri difetti,
tra i quali l’uso inconsapevole di atteggiamenti, di linguaggio, pur
impercettibilmente, mafiosi, data l’annosa convivenza con mafiosi conclamati, i
sardi sono oltre che, in modo ingiustificato, orgogliosi, dal momento che,
pigramente, accidiosamente, per un piatto di lenticchie si sono fatti derubare
dall’aga khan e dagli straricchi paperoni internazionali, tra cui il berluska,
delle paradisiache Bellezze della loro terra, sono di un razzismo, alla
rovescia, incontenibile nei confronti, senza alcuna distinzione, di coloro che
dal continente, per qualsiasi motivazione o opportunità, si trovino a
posare lo sguardo ammaliato sui loro
“Nuraghe”. Per loro non ci sono italiani o lombardi o piemontesi o pugliesi:
chi salpa da civitavecchia e attracca a olbia è, indefettibilmente in modo
sprezzante, “il continentale”.
Trovai l’opinione pubblica e i “media” sgomenti,
ma non sorpresi in quanto altre volte, tante volte, avevano dovuto fare i conti
con cruente brutalità dettate dal “codice barbaricino”: era stato trovato
massacrato, per i camminamenti ove era solito pascolare le pecore, un
pastorello di 14 – 15 anni con i suoi testicoli dagli assassini messi nella sua
bocca.
Evidentemente, il povero adolescente qualcosa aveva visto di illecito,
mettiamola così (specie in una stagione in barbagia di frequenti sequestri di
persona, a scopo di estorsione), che non doveva vedere e, non avendo avuto la
necessaria sagace prudenza di tenere la lingua a posto, non poté sottrarsi al
macabro rituale del “codice barbaricino”, a cui i sardi erano, sono, chissà,
rassegnati a sottostare. Tra le tante normali cazzate che gli organi di
“disinformazione” sfornarono, una MI colpì, particolarmente: un giornalista
vedeva nella ritualità barbaricina, con cui era stato ucciso il pastorello, il
segno che l’economia sarda era, ancora, fondata sulla millenaria produzione
agricola – pastorale. Secondo codesto
veggente, uso a profetare per mezzo della carta igienica, la sostituzione delle
pietre scheggiate, usate nel paleolitico, o dei coltellacci dalle lame affilate
con i modernissimi kalashnikov, da parte dell’uomo sardo per uccidere, espungendo
la barbaricina platealità rituale dei genitali della vittima nella sua bocca,
l’altro uomo sardo o di altra zolla del pianeta, sarebbe stata il segno che in
Sardegna stava per allignare una economia nuova, senza specificare di quali
novità si sarebbe trattato. E nuove regole, morali starei per dire, avrebbero
surrogato quelle del “codice barbaricino”.
Comunque, pur con tutta la sua
feroce primitività, il “codice barbaricino” era un ostacolo insormontabile allo
sfrenato arbitrio della criminalità prepotente, come, se è lecita l’antistorica
comparazione, il “Codice di Hammurabi”, dispiegando la presunzione giuridica della conoscenza
della “dura lex, sed lex” da parte del “civis” babilonese, gli permetteva di
improntare il proprio agire alla imperiosa volontà del sovrano e, quindi, di
non mettere in opra comportamenti trasgressivi di essa o di scegliere la
trasgressione, assumendosene le letali responsabilità.
Ad onta di tutte le
veggenze, in Sardegna l’economia agricola – pastorale continua a essere l’unica
fonte di sostentamento della generalità del suo popolo; il turismo non ha avuto
alcun impatto positivo sui sardi, che si sono visti più colonizzati di quanto
non lo fossero stati in passato dalla calata sull’isola di speculatori senza
scrupoli che in essa o su essa si arricchiscono, ma trasferiscono in paradisi
fiscali compiacenti i proventi delle loro ruberie e rapine ai danni
dell’”habitat”, sempre meno incontaminato, di essa.
Di uccidere, si uccide,
come si uccide o si tortura il prossimo nelle più, tecnologicamente, avanzate
società industrializzate. Con una differenza rispetto al passato: non solo da
parte di criminali incalliti per imporre la salvaguardia dei loro interessi non
rispettosi di quelli della maggioranza dei sardi e del Bene Comune, ma anche da
parte di mocciosi, poco più che normali adolescenti, secondo il sentire comune,
per noia, per non avere altro di più alto, di più raro da eternare e diffondere
ai loro sodali con gli “smartphone”, di cui sono dotati, pur con le “pezze al
culo”.
Si uccide con le più sofisticate armi postnobeliane per futili motivi,
anche!
Ecco, per i nostri 25 Lettori, alcuni fattacci esemplari ed esplicativi
di quanto abbiamo, testé, Detto.
Oristano, 08 maggio 2015. Avevano cosparso di
benzina il piede di un amico e poi gli avevano dato fuoco e, mentre egli
scappava terrorizzato, senza riuscire a spegnere le fiamme, loro ridevano e
giravano un video col cellulare che, poi, è finito su “internet”.
La vittima,
un ragazzo di 18 anni, gli autori della truce bravata un ragazzo di 19 anni e
due minorenni di 17 e 15 anni. Identificati dai carabinieri, sono stati
denunciati per lesioni pluriaggravate in concorso. I genitori hanno tentato di
dimidiare l’insensata gravità del
fattaccio, dai loro pargoli portato a compimento, con l’affermare che, in
fondo, s’era trattato di uno scherzo tra amici. Con irritato scandalo MI viene
in Mente l’ingenua, in consonanza con la modestia culturale del personaggio,
per nulla pentito dei suoi mostruosi crimini, in quanto egli era convintissimo
di aver fatto solo il suo doveroso lavoro con l’istintiva diligenza del
militare “tout court”, autodifesa di eichmann otto adolf rivolta ai giudici che l’avrebbero condannato
a morte per impiccagione: ”In fondo mi sono soltanto occupato di trasporti”!
Sì, di 6 milioni di ebrei nelle camere a gas, di cui i campi di sterminio
nazisti erano forniti! Balordaggine di “minus habentes”?
Balordo significa: rimbambito,
stupido, scemo, stordito, frastornato. No! Quando si tortura, spietatamente,
l’altro non si sa, come non lo sa la maggioranza degli uomini comuni, quelli
che IO Chiamo condòmini, cosa sia il “Pensare”, da cui Scaturisce il Giudizio
irrevocabile se qualsiasi nostra azione sia foriera di Bene o di male.
Il 9
maggio 2015 a
Orune nel nuorese tre fucilate, sparate da due figuri col volto coperto, hanno,
mortalmente, raggiunto Gianluca Monni, 19 anni, mentre aspettava l’autobus per
Nuoro e raggiungere la sua scuola.
I
compagni di Gianluca, data la sua proba, specchiata, irreprensibile
personalità, non riescono a trovare altro appiglio, condiviso dagli inquirenti,
per arrivare a un movente plausibile di tanto sanguinario agguato nei suoi
confronti: ”Aveva litigato con dei ragazzi per difendere la sua fidanzata”. E
codesti per vendetta, forse,…!
Veniamo, ora, al sofferto Racconto di due recentissime tragedie, sul “continente”
esplose, che verificano quella che Hannah Arendt ha chiamato la “banalità del
male”.
Nel primo mattino di domenica, 10 maggio 2015, domenico maurantonio, 19
anni, studente (?) del liceo “Ippolito Nievo” di Padova, viene trovato esanime,
dopo un volo dal quinto piano di un albergo di milano.
Il ragazzo era in gita
scolastica con la sua classe, con pernottamento, per visitare l’”expo”.
Non
condividerò, giammai, le proteste, in questi giorni elevate dalla gran parte degli
insegnanti italiettini, dagli studenti (?) italiettini, dai genitori
italiettini contro la cosiddetta “buona scuola” renziana.
Come si fa a dire che
s’insegna, che si studia, che si mandano i figli a scuola, se Fare Scuola,
oggi, nella scuola italiettina, è un eccezionale “optional”?
E’ inaudito che,
alla fine dell’anno scolastico, quando si devono tirare le somme di un impegno
(se d’impegno totale e totalizzante si sia trattato e non di emerite
chiacchiere e fregnacce) didattico, pedagogico di 9 mesi, si organizzi una gita
che, come tutte le gite studentesche (?), non avrà alcuna Finalità Culturale
(tanto è gridato pure dalle pietre, ma tutti fanno finta di non sapere), ma
servirà agli studenti come occasione, tra le tante, di consumare squallide
goliardate, e agli insegnanti come pretesto di riposo dopo un anno, quasi, di
riposo.
E goliardata è stata a spese del povero irresponsabile domenico.
Infatti, i compagni gitaioli di domenico hanno ammesso che nella notte tra il 9
e 10 maggio tanto alcol egli e loro avevano
ingurgitato e gli inquirenti, in conseguenza di qualche allusione dei
ragazzi, coinvolti nel non inusuale “festino”, approfittando della colpevole
scarsa vigilanza degli insegnantucoli accompagnatori, ipotizzano che qualche
adolescente sciagurata manina, furtivamente, gli abbia versato nel suo
bicchiere una dose di potente lassativo.
Di qui, tra lo stordimento da alcol e
il forte sommovimento intestinale, il suo mortale tonfo!
Un dramma, insomma,
immane con i protagonisti di esso raccolti in un becero coacervo di uomini, donne,
madri, padri, figli, indolenti studenti che, ormai, popolano il lercio panorama
social -scolastico dell’italietta di oggi.
Che Dire, infine, della strage (il
fratello, la cognata dell’assassino, due passanti e non pochi feriti) commessa in
secondigliano, periferia di napoli, da tal giulio murolo, un riservato,
taciturno, solitario,”tamen”, maniacalmente, amante di armi, infermiere
dell’ospedale “cardarelli” di napoli? A testimonianza di quanto ci Insegna la Letteratura
Psichiatrica che non sono, inderogabilmente, i folli, gli
incapaci di intendere e di volere, i mostri, i demoniaci, a realizzare delitti
di indicibile “umanità”.
Eichmann, secondo la Arendt, era un uomo pressoché normale, come tutti
i comuni condòmini, ripetiamo, caratterizzato dalla sua mediocrità,
superficialità che la meravigliarono in considerazione del male da lui
prodotto.
C’era, però, in lui qualcosa di, estremamente, negativo: la
disponibilità alla cieca obbedienza agli ordini, alle leggi, agli obblighi
imposti da un branco di delinquenti, determinata dalla “incapacità di Pensare”.
Non si può restare che sbigottiti davanti alla violenza gratuita, al male
compiuto per futili motivi, meri pretesti per sfogare una pulsione, per
reagire, irrazionalmente, ad una irredimibile frustrazione. Dalla cronaca
impariamo quanto siano pericolose le “persone” normali (delitti famigliari, stragi,
massacri), schegge, improvvisamente, impazzite di una umanità impoetica, resa,
minacciosamente, aggressiva dalle strettoie di una morale, in essi indotta, che
non attinge all’Etica, cioè alla Scienza della Condotta, ma alla fede, alla
superstizione, all’abitudine, all’autorità della tradizione che trascina i
millenni nel presente, alla lezione fondamentalista del ”libro”.
Trascrivo un
Brano di cui, improvvidamente, non ho Appuntato il Nome e Cognome dell’Autore:
”Proprio l’imperiosità del comando “non uccidere” ci assicura che discendiamo
da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel
sangue, come forse abbiamo ancora noi stessi il piacere di uccidere” Ebbene,
codesto innato, quasi, “piacere” Rimuoviamolo nell’inconscio da cui, il nostro
IO, se sarà stato Educato, foscolianamente, a Credere nell’Amore, nella Poesia,
nel Mito Classico del Bello, lo farà Riemergere alla nostra Consapevolezza
sotto Forma di un’intricata foresta di energiche Illusioni, che avranno, pure,
un carattere consolatorio,”sed”, catarticamente, renderanno possibile la nostra
positiva reazione al male. Illusioni che Impregnano la Parola del Poeta, la Nota del Musicista, il Segno
incancellabile dell’Artista.
”Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato
dall’evolversi di una malattia, è al di là dell’opposizione tra normale e
anormale, e può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce
dalla malattia della conchiglia. Come non si pensa alla malattia della
conchiglia ammirandone la perla, così dinanzi alla forza vitale dell’opera non
pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita”, Karl
Jaspers.