di MICHELA RUBINO
Il Teatro Traetta di Bitonto ha ospitato uno spettacolo che è molto più di una semplice rappresentazione teatrale: “I Figli della Frettolosa”, opera della Compagnia Berardi Casolari, ha trasformato il palcoscenico in un luogo di inclusione, emozione e riflessione. Il pubblico ha accolto con calore il ritorno di Gianfranco Berardi, attore e autore bitontino non vedente, che ha riportato nella sua città natale un progetto innovativo, capace di mescolare teatro e vita reale, finzione e vissuto.
Scritto e diretto da Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari, “I Figli della Frettolosa” affronta il tema della cecità, declinata sia come condizione fisica sia come metafora di una società sempre più distratta e smarrita. La cecità diventa, in questa narrazione, un punto di vista unico per osservare il mondo: non come mancanza, ma come un altro modo di percepire l’esistenza.
Bastoni bianchi, occhiali scuri e movimenti incerti, ma anche entusiasmo, ostinazione e desiderio di rivalsa hanno caratterizzato il coro di attori non vedenti e ipovedenti, composto dai partecipanti al laboratorio teatrale organizzato in città nei giorni precedenti lo spettacolo. Tra questi, anche due membri dell’Associazione L’Anatroccolo di Bitonto, Giuseppe Lisi e Paolo Savino, che hanno regalato al pubblico momenti di straordinaria intensità, rappresentando un legame speciale tra Bitonto e questo progetto unico.
Il Teatro Traetta, gremito, ha dimostrato di essere un luogo vivo, pronto ad accogliere progetti che vanno oltre l’arte, intrecciandosi con il tessuto sociale e culturale della città.
Presente alla serata anche Aldo Patruno, dirigente del settore Cultura della Regione Puglia, che ha sottolineato l’importanza del progetto: “Siamo felicissimi della buona riuscita dello spettacolo. Non vogliamo che questo sia solo un progetto sperimentale, ma faremo in modo di aggiungere fondi al Welfare Culturale, affinché tutti possano migliorare la loro qualità della vita”.
Nei giorni precedenti alla messa in scena, Berardi e Casolari hanno condotto un laboratorio inclusivo che ha coinvolto persone con diverse disabilità, ma anche cittadini comuni, vedenti e non vedenti, in un’esperienza unica di creazione condivisa. Racconti autobiografici, emozioni personali e frammenti di grandi classici si sono intrecciati, trasformando ogni partecipante in co-autore dello spettacolo.
Questo approccio ha permesso di creare una narrazione ogni volta diversa, arricchita dalle esperienze di vita dei partecipanti. Per Giuseppe Lisi e Paolo Savino, membri di L’Anatroccolo, il laboratorio è stato un’opportunità per dimostrare come il teatro possa essere un potente strumento di inclusione e crescita personale.
Lo spettacolo, come spiegato dagli autori, non è solo una riflessione sulla cecità fisica, ma anche un’esplorazione di una “cecità sociale”, quella incapacità di vedere veramente l’altro, di cogliere l’essenza delle cose in un mondo bombardato da immagini e suoni. Attraverso il teatro, Berardi e Casolari ci invitano a riscoprire un modo di “vedere” più profondo, autentico e umano.
La serata si è conclusa con un applauso lungo e commosso, un omaggio non solo agli attori sul palco, ma anche all’idea di un teatro che abbraccia tutti, che non esclude ma include, che si fa strumento di crescita per l’intera comunità.