C’è
tanta voglia di raccontare nel nuovo lavoro discografico di Emilio Garofalo, approdato a Bitonto,
la sua città, il 20 aprile scorso sul prestigioso palco del Teatro Traetta dove
il giovane artista ha concluso in bellezza una tournée per tutta l’Italia iniziata nel novembre 2012.
Musicista poliedrico, suona infatti chitarra, pianoforte ed armonica a bocca, “Storie in acustico” di cui è autore
esclusivo di tutti i testi, è il secondo disco da lui prodotto in
collaborazione con il pianista Claudio
Stea, in arte Samo. A 28 anni,
Emilio ha alle spalle una laurea in legge, il suo primo disco, dal titolo Muri, uscito nel 2004 ed un romanzo dal
titolo intrigante I biscotti speziati .
Emilio
Garofalo è decisamente un narratore musicale, lo comprova la sua passione per
la letteratura e la poesia contemporanea che traspare da tutti i pezzi di
questo suo nuovo album, e lo ribadiscono, parimenti, la sua vena di romanziere
ed il lapalissiano titolo Storie in
acustico, ossia storie propagate come suoni, essendo l’acustica quella
parte della fisica che studia la generazione, la propagazione e la ricezione
dei suoni.
Ma le canzoni di Emilio Garofalo sono onde sonore che giungono al
cuore della gente attraverso un linguaggio che, pur attingendo dal quotidiano,
riesce ad essere poetico. La sua non celata ammirazione per Francesco De
Gregori e De André si percepisce ovunque e le loro sagome a volte si intravedono appena nei narrativi,
un ossequio però stemperato nella originalissima cifra ritmica della sua
musica. Anche il grande ed indimenticato Rino Gaetano fa capolino nel suo stile
canoro quando la voce di Emilio diventa volutamente rauca per sottolineare una
emozione travagliata o un pensiero martellante.
Il
primo brano, che ha stranamente un numero come titolo, 2494, parla di un viaggio che il protagonista sta per intraprendere.
L’amata lo accompagna in autobus al porto dove, probabilmente, avverrà la
separazione tra i due e comincerà il lungo tempo dell’attesa: “Il porto sulla
costa, le barche le bandiere, e una fontana spenta sulla via…dimmi dove andrai,
dimmi quando io ti rivedrò. Ti ho aspettato tanto e ti aspetto ancora, anche se
fa freddo aspetterò”. Il contesto è squallido, poiché c’è “puzza di frittura e
di carne andata”, c’è il desiderio di rivedere l’amata mentre “la notte cala
sull’Europa e sul parcheggio dei bus”. Il desiderio di lasciare il proprio
paese per avventurarsi verso l’ignoto con la sola compagnia dell’amore, esprime
romanticismo e ricalca certe tematiche del periodo sessantottino delle
contestazioni giovanili. Il tema del viaggio ricorre nelle sue canzoni, tutto
il suo album ne è pervaso, tanto da apparire quasi un “road movie musicale”,
denso di scoperte e di improvvise sorprese mai avulse da accenti poetici e
riflessioni interiori. Lo stesso sesto brano dal titolo rivelatore “Il lungo viaggio”, che inizia piano
come un pensiero tristissimo che fa fatica a rivelarsi: è l’addio di un uomo
che parte per un lungo viaggio, alla sua donna, addio disperato perché incerto sarà il suo ritorno, e che fa pensare
agli addii struggenti dei marinai alle loro innamorate quando non esistevano né
Internet né cellulari, e comunicare era difficilissimo: “ho visto le tue mani
tra la gente al porto e fazzoletti bianchi agitati sullo sfondo” mentre il mare
sta per dividere chi la terra, col suo improvviso temporale, aveva unito
l’ultima volta nell’ultimo abbraccio notturno, quando i due respiri si erano fusi l’un l’altro.
Chi canta e narra non può far promesse alla sua donna, non può regalarle
tesori, può solo prometterle che le sue mani non smetteranno mai di suonare
amandola nelle sue canzoni. Tutto ha il sapore di certe poesie di Rimbaud in
cui c’è il senso della perdita e dello smarrimento “forse l’acqua stanotte
laverà la paura di saperti via da me…amore stringi le mie mani, non mi
dimenticare”. Il tema del viaggio ritornerà nel simbolo romantico del treno.
Nel
secondo brano Amore a prima vista infatti parla di un amore nato ai tempi
dell’Università, forse incorrisposto poiché gli occhi che guardavano sono
stati solo i suoi, dunque una vera “romantica ingiustizia”. La musica si
riempie di vera poesia in Billy Blue,
piccolo uomo, che “suona per la sua dolce Marlene che, vestita di seta, balla
sfiorando la notte contando i suoi sogni sulla punta delle dita e che s’accorge che son
troppi per lei e ne regala un po’ a lui”. La cantilenante Ballata delle incomprensioni,
cantata con Antonella Degennaro, pare una tenzone amorosa contemporanea, in cui
ognuno, nel difficile rapporto di coppia, vuole far prevalere le sue ragioni:
quando lui dice “Forse farai di tutto per non sorridermi mai, anche se poi
capisco che è il carattere che hai”, lei risponde fredda “io ti do tutto il mio
odio, poi tutta la mia comprensione”. In Date
a Rosa il mio bacio, la malinconia dell’armonica a bocca suonata da Emilio,
sottolinea quella della storia, in cui il protagonista si augura che il suo
bacio arrivi all’amata portato
“dall’ultimo vento in punta di piedi, alla fine dell’inverno”. Il vento, qui, si fa latore d’amore mentre le parole
finali sigillano la perdita dell’amata e ammoniscono i futuri suoi amanti con i
versi liberi “siate dolci con lei, solo così sarà in grado di amarvi”. Soffusa,
quasi un sussurro è l’emozionante brano Muri,
che mi ricorda la celebre poesia La sommadi Jorge Luis Borges che ritrae un uomo che “di fronte alla calce di un muro
che possiamo pensare infinito”, disegna l’universo intero. La canzone è
sicuramente frutto di una elucubrazione profonda: i muri appaiono bastioni insormontabili,
ma poi si frantumano in milioni di pezzi che però danno origine ad altri muri:
il riferimento al muro di Berlino è emblematico, ma i muri non sono fatti solo
di materia ma anche di incomunicabilità, per questo rinascono incessantemente.
Il “muro”- assieme al “vento” che,
complice, trasporta baci ma che può spazzare via tutto, al “viaggio” che dà
contemporaneamente gioia e angoscia, al “treno” che allontana ma che dona nuove
avventure – è l’ennesimo elemento simbolico dell’esperienza musicale del
cantautore Bitontino. Di fatto le sue canzoni sono fruibili come mini road
movies musicali, poiché Emilio riesce anche a farci vedere ciò che racconta ed
a portarci con sé nei suoi viaggi che partono dal realismo per approdare quasi
sempre alla poesia. Tanto quest’ultimo soggetto lo ispira, che ne fa una
significativa poesia: “i muri del mio paese su cui sogno di guadagnare tre milioni
di sogni al mese, a loro affido i miei pensieri, i miei sogni le mie paure,
sono loro i protagonisti di milioni di storie”. Altra emozione, ci dona invece Solite storie di nulla, con un incipit
rockeggiante che pare alludere al tran-tran dei giovani d’oggi che si
innamorano e disamorano continuamente tra lacrime e pop-corn. Torna il muro
dell’incomunicabilità poiché “i segreti restano nascosti nella stanza dell’amata e poiché forse Emilio allude a tutti noi quando dice
che in fondo restiamo da soli con “l’amore che non viviamo e con le solite
storie di nulla che poi desideriamo”. Torna la quotidianità in Poveri pensieri, e la canzone si veste
d’ironia ricordando il grande Rino Gaetano quando elenca “matrimoni combinati e
bambine violentate da concetti religiosi e comunioni, poi c’è la televisione
che ci aiuta ad invecchiare ed il traguardo da tagliare”. Il whisky, inoltre,
è ovviamente di seconda scelta perché c’è, io intendo, la crisi. In questo
brano emerge, più che in altri, la bravura del tastierista Samo che accompagna
la chitarra di Emilio. Torna l’angoscia della fine e della perdita amorosa
nell’ultimo sofferto brano del cd, Storia
di una notte senza il tuo amore, dove Emilio sussurra quasi le sue parole,
affinché non facciano troppo male a se stesso ed al pubblico, quando dice
“notte di pianti vino e preghiere, notti di amori che nascono altrove, notte
che parla di un antico dolore, storia di una notte, notte senza il tuo amore”.
Durante
il concerto accanto ad Emilio hanno avuto modo di farsi notare Samo in una
esibizione pianistica di eccezionale bravura, il virtuoso chitarrista Paki Cassano e la bravissima
vocalist dalla voce calda e a tratti vibrante, Anna Francesca Stellacci che,
vestita di rosso, ha riscaldato l’oscurità dello sfondo scenografico.