Dall’architettoVincenzo Sblendorio riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo
interessante contributo dedicato ad uno dei gioielli più –inconsapevolmente?-
trascurati di Bitonto, nonostante la posizione centrale che occupa: il
seicentesco complesso conventuale di San Francesco di Paola, consacrato al
grande santo calabrese, fondatore dell’ordine dei Minimi. Un pezzo importante
di storia della città che conserva anche opere d’arte e dipinti, spesso
sconosciuti ai più. E su cui sarebbe utile intervenire, per evitare situazioni
di degrado e deterioramento. Sia il pezzo di Sblendorio di sprono e stimolo
alle istituzione e ai cittadini tutti. (Marino Pagano)
La storia della
fondazione della chiesa di San Francesco di Paola è da tutti, più o meno,
conosciuta. Nel 1997, infatti, in ricorrenza del centenario della costituzione
della confraternale “Pia Associazione di San Francesco da Paola”, fu pubblicato
un libro con un ricco testo descrittivo a firma della ricercatrice Carmela
Minenna, contenente contesti, date e personaggi che dettero origine
all’erezione del monumento ecclesiastico, parte integrante del più ampio
complesso conventuale edificato per ospitare i confratelli religiosi
dell’ordine francescano dei frati Minimi.
Esso fu costruito per
essere molto più confacente alle esigenze per il culto
del santo paolano, eletto compatrono della città nel 1640, rispetto all’avita
chiesetta, primo appoggio della comunità fraternale, di Sant’Angelo “de puteis
paganorum”, demolita dopo la consacrazione della nuova chiesa, quella che oggi
vediamo.
Ciò che invece è meno
conosciuto, di cui se ne è parlato molto meno, è l’excursus della sorte,
seguita nel tempo, del complesso delle fabbriche conventuali di cui la chiesa
era parte integrante.
Infatti, con quella
che, nel 1861, fu l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di
Sardegna, si vide l’adeguamento delle leggi preunitarie vigenti nel regno
sabaudo, estese a tutto il territorio del neo-Regno d’Italia. Per cui, già nel
1855, nel Regno di Sardegna, per rimpinguare le casse statali impoverite dalle
guerre di espansione savoiarda con l’Austria, dette risorgimentali o di
indipendenza, la cosiddetta legge Siccardi, sopprimeva molti ordini religiosi
conventuali, ritenuti di alcuna utilità sociale, con l’incameramento allo Stato
di tutti i loro beni e ricchezze.
Quindi, per
estensione, dopo il 1861, si vede la sua applicazione anche nelle regioni del
ex Regno di Napoli. Con la legge del 7 luglio 1866 del Parlamento d’Italia,
successivamente, su richiesta degli enti, i beni espropriati vengono acquisiti
dai Comuni e dalle Provincie. Con la legge successiva del 15 agosto 1867,
vengono definitivamente liquidati i complessi conventuali. A Bitonto, città
ricca dei più svariati ordini religiosi e associazioni confraternali clericali,
possiamo far risalire a quell’epoca la cessazione della loro funzione e lo
svuotamento dei conventi: dei paolotti, degli agostiniani, dei carmelitani, dei
teatini, dei francescani (minori, osservanti, zoccolanti, cappuccini), dei
benedettini olivetani, dei benedettini cistercensi, dei domenicani e dei
teresiani. La funzione di quei secolari edifici vede, prevalentemente, la loro
ridestinazione ad edifici scolastici, caserme, ospedali, uffici pretorili.
In quegli anni,
intorno al 1867, nefasti per il nostro mezzogiorno, anche il complesso
conventuale di San Francesco di Paola cessa la sua funzione di residenza per i
frati Minimi ed acquisito ai beni demaniali del Comune di Bitonto.
Da allora, proprietà
comunale, non corre imminente pericolo di degrado, ma, se abbandonato
all’incuria, non è altrettanto affermarlo per il futuro prossimo. Nell’attualità
si presenta integro, non tanto per le strutture murarie, che nella loro
poderosità non mostrano segni di ingiuria del tempo, essendo vissuti, nel
complesso, tutti i suoi ambienti che lo costituiscono.
All’interno del
chiostro, infatti, si affacciano locali adibiti ad uffici di assistenza per
extracomunitari, già ex sede di partito politico, e sede dell’Associazione
carabinieri in pensione, civili abitazioni ai piani superiori ed esercizi
commerciali, al piano terra, con affaccio ingresso dal Corso Vittorio Emanuele
II.
Corrono serio
pericolo di deterioramento e perdita, con un velo di polvere che li ricopre,
invece, gli interessanti dipinti ubicati sulle pareti color ocra della
scalinata, a tinta originale, che porta dal chiostro del piano terra all’atrio
pensile del piano superiore, ubicazione di quelle che furono le celle dei
frati.
Dipinti a tutta
parete sotto due arconi, prospicienti tra loro sul pianerottolo intermedio,
raffigurano episodi agiografici ed iconografici del santo paolano, del periodo
delle sue trasferte in terra francese, raffiguranti “la partenza per la Francia
del Santo”, il suo “sbarco in Francia” ed il “ricevimento del Santo da parte
del re Luigi XII”. Interessanti anche i medaglioni raffiguranti le immagini di
priori dell’ordine paolotto. Di squisita fattura pittorica, non sono del tipo
ad “affresco”, ma dipinti con la tecnica “a tempera”. L’autore è un anonimo
pittore locale.
Interessanti, oltre
ai dipinti, sono anche le due statue lapidee dipinte affacciate sul pianerottolo
mediano della scalinata, nelle due nicchie murali contrapposte tra loro. Una
delle due rappresenta, inconfutabilmente, l’Immacolata Concezione Vergine
Immacolata, principale patrona di Bitonto.
L’altra,
probabilmente, è la statua di Santa Irene, visto il motto sulla nicchia: HAVD
FULMINA METIA (“Nessun fulmine distrugga”) (?). La santa è conpatrona minore,
dal 1748, della nostra città, associata all’olimpo degli altri santi conpatroni.
La richiesta
d’affidamento alla santa da parte del clero locale fu ispirata dalla
particolare inclemenza della meteorologia, con tuoni, fulmini e saette e
relativi danni al mondo agricolo.
Altre particolarità
che l’ex complesso conventuale dovrebbe vedere meglio salvaguardate e recuperate
al godimento collettivo sono gli ulteriori medaglioni raffiguranti i priori
dell’ordine fraternale, situati sotto le arcate dell’accesso al chiostro;
alcuni ancora visibili, altri sicuramente recuperabili con la rimozione degli
strati di calce delle scialbature sovrapposte nel tempo.
Vi è, altresì, da
ripulire (non sbiancare) la bugnatura dei prospetti che si affacciano
sull’attuale piazza Moro, già Margherita di Savoia, in cui è contenuta,
all’altezza del primo piano, un’interessante e poco valorizzata meridiana.
La stessa attenzione,
per un’adeguata valorizzazione, è da porre sulla parete affacciata sul corso,
contenente l’emblematica nicchia con la statua lapidea del santo paolano ai cui
piedi è incastonata l’antica epigrafe, già citata dalla dott,ssa Minenna, che
in latino recita: “Aspice pulanum qui transit pron. Adora ut benedictus eas”, che
tradotto suona così: “Guarda il paolano tu che passi, in ginocchio prega, affinché
tu vada con la sua benedizione”, invocazione destinata a quanti bitontini,
usciti dalla “porta della marina”, allora con maggior fede che oggi, si
recavano alle loro incombenze lavorative quotidiane.
Vincenzo Sblendorio