L’episodio dell’invenzione
dell’aggettivo “petaloso” da parte del piccolo Matteo, allievo della scuola
elementare Marchesi di Copparo in provincia di Ferrara, e il giudizio
dell’Accademia della Crusca come parola bella e chiara stanno facendo discutere
linguisti e non.
Non è detto che il termine
entri nel vocabolario italiano, ma è la dimostrazione che con il passare del
tempo la lingua continua ad evolversi.
L’Accademia della Crusca è
molto vicina all’ambiente scolastico perché conferisce, ad esempio, la
possibilità di ricevere consulenze linguistiche. Persegue, così, l’obiettivo di
far acquisire e diffondere la conoscenza storica della lingua nazionale.
Ci si chiede se ci sia un
modo ideale per poter impartire insegnamenti sulla lingua italiana, stando
anche al passo con i tempi. Le docenti sono tenute ad aggiornarsi
costantemente, pertanto non è raro che possano chiedere consigli ad
un’istituzione, com’è successo per l’episodio dell’aggettivo “petaloso”.
Abbiamo ascoltato, per
questo motivo ed altre curiosità, il parere del prof. Francesco Sabatini,
nonché presidente onorario dell’Accademia della Crusca, in occasione del
convegno “Ditelo con un verbo” tenutosi, lo scorso venerdì, presso l’Istituto
Comprensivo Sylos.
«La lingua risiede nella nostra mente, pertanto occorre analizzarla in
maniera scientifica per comprendere la sua natura e il suo funzionamento. Così
come c’è un modello per cui sappiamo che il sole è al centro e i pianeti gli
girano intorno, anche per la lingua e quella che chiamiamo frase ne dobbiamo
utilizzare uno. Il perno centrale, in questo caso, è il verbo».
Partendo dal presupposto
che la mente di un bambino sano già a 3-4 anni possiede tutto il sistema
linguistico, nella scuola primaria le docenti dovranno partire dall’insegnare a
leggere e scrivere. Quando, nella scuola secondaria di primo grado, si passerà
a fornire nozioni grammaticali e strategie per il riconoscimento delle varie
tipologie di testi, sarà necessario adottare un modello scientifico e
sottolineare l’importanza del verbo attorno a cui tutto ruota.
L’italiano è tra le
ventiquattro lingue ufficiali dell’Unione Europea ed è la quarta più studiata
al mondo, dopo l’inglese, lo spagnolo e il cinese.
Le motivazioni di questo primato
sono diverse, tra cui: l’essere la lingua di uno dei principali soggetti
geopolitici mondiali, la Chiesa Cattolica; l’Italia è uno dei paesi che ha
avuto una cospicua emigrazione nell’ultimo secolo; il suo prestigio a livello
culturale.
Ma vista dagli occhi di
uno straniero la lingua italiana è facile da apprendere? «Non esiste una lingua più difficile rispetto ad un’altra. Occorre farla
praticare come si fa con un bambino nella scuola elementare e, poi, quel
modello grammaticale non lineare, ma strutturale che spiega com’è formata la
frase. Bisogna tener presente che lo straniero conferisce anche ai modelli
della sua lingua d’origine».
Con il passare del tempo
una lingua si evolve e ci sono diversi modi in cui può farlo, ad esempio
mediante i prestiti. E’ interessante comprendere cosa porta alla nascita di
nuovi termini.
«Se subentrano esigenze ed oggetti nuovi, è naturale che sia necessario
trovare una parola che li indichi. Nel caso in cui dei termini provengono da lingue
diverse dalla nostra, occorrerà comprendere se li si potranno utilizzare cosi
come sono o tradurli. Inventare una parola nuova, invece, è un fenomeno raro».
Questo ci riconduce alla
querelle sull’insolito aggettivo “petaloso”. E’ successo qualcosa di raro che
entrerà nei libri di scuola?
«E’ straordinario notare come la mente di un bambino possa essere così
creativa. La risposta dell’Accademia della Crusca è stata quella di apprezzare
il termine bello, chiaro e ben formato. Tuttavia, non si sa se entrerà nel
vocabolario italiano. Dipenderà tutto dal suo uso. Ci serve una parola che
indichi la presenza numerosa di petali? Forse no, con il tempo lo vedremo».