“La poesia non è un senso ma uno stato, non un capire ma un essere”. Scriveva così Cesare Pavese in “Il mestiere di vivere”.
Uno scrigno di parole che nascondono le vie più recondite del sé, che danno voce ai silenzi e lasciano trasparire piccole grandi verità.
È così che ama raccontarsi la poetessa bitontina Carla Abbaticchio, che come ogni anno, in occasione del Festival della poesia organizzato dal Cenacolo dei Poeti di Nicola Abbondanza, ha offerto nuovi ritratti di sé e del suo modo di vedere quel che la circonda.
Il reading dei suoi componimenti si è svolto, lo scorso sabato, all’interno dell’atrio vescovile della Cattedrale ed è stato condotto dalla giovane interprete bitontina Federica Monte.
“Al Chiaro di Luna, Notte di Poesia” , un elegante connubio tra recitazione e musica che ha emozionato i presenti. Quest’anno, la poetessa Carla ha scelto di essere accompagnata da “L’Assolo a due” composto dalla cantante Rosemary Nicassio e dal pianista Leonardo Torres.
I due giovani ragazzi sono stati una bella rivelazione a livello musicale e questo non ha fatto altro che realizzare l’intento della “Bitonto Estate” di scoprire nuovi talenti, come ha spiegato il vicesindaco Rosa Calò.
Giunto alla sua V edizione, il reading della poetessa Carla Abbaticchio si è sciolto in quattro sequenze: “Amarcord, il volo dei ricordi”, “Il sonno delle paludi”, “Il tempo dei desideri e dei sogni”, “Le mille alchimie”, “Il karma dell’attesa e l’iridescenza del nuovo giorno”.
Tristezza, vanità, nostalgia, morte. Amore, emozione, speranza, vita. Queste sono state le chiavi di una realtà al confine labile con l’immaginario. Tra tutte, quella che probabilmente ha trovato maggiore sintonia emotiva con il pubblico, è stata quella del ricordo di una delle vie principali di Bitonto, il Corso Vittorio Emanuele.
“Assedio di fotogrammi da accarezzare, lo struscìo ripetuto con le amiche a captare lo sguardo di un bel giovanotto. Il cigolio invitante delle saracinesche dei negozi, la gente a passeggio, il vocio frizzanti dei passanti intenti a scrutare le vetrine, lo scampanellio di qualche bicicletta, vecchie canzoni d’amore dalla radio intonate a squarciagola, il tintinnio delle tazzine da caffè nei bar del Corso (…)”
Dallo stralcio della poesia “Amarcord, il corso del mio paese. Corso Vittorio Emanuele” si può dedurre che la sua lettura è paragonabile al pescare una vecchia fotografia tra gli album più belli dei nonni e scovare nei loro occhi tanta vita, il patrimonio più ricco che tutti dovremmo custodire e valorizzare ogni giorno perché anche la semplice quotidianità sarà la cosa più bella da raccontare nel nostro domani.
In fondo, «quando una scintilla di vita accende i pensieri ed una vibrante emozione sgorga dall’anima –secondo Carla-, allora la parola diventa poesia» che, a sua volta, dona eternità.