Partiamo da queste parole. Che riecheggiano ancora: “Primo fra i primi nelle più audaci e rischiose imprese, ardente di fede ed animato dal più puro entusiasmo, appena quattordicenne partecipava alla dura lotta partigiana, emergendo in numerosi fatti d’arme per slancio leonino e per supremo sprezzo del pericolo. Dopo strenuo combattimento contro preponderanti forze nazifasciste, in cui ancora una volta rifulse il suo indomito valore, esaurite le munizioni, veniva catturato e condotto dinanzi ad un giudice tedesco. Benché schiaffeggiato e minacciato di terribili torture, si manteneva fiero e sereno non paventando le barbare atrocità dell’oppressore.
Le sue labbra serrate in un tenace e sprezzante silenzio, nulla rivelarono che potesse nuocere ai compagni di fede ed alla causa tanto amata. Condannato a morte rispondeva: «Uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno». La brutale rabbia nemica stroncava la sua giovane esistenza interamente dedicata alla liberazione della Patria.
Magnifico esempio di valore e di giovanile virtù”.
Questo magnifico esempio di nome fa Roberto e di cognome fa Di Ferro, e a tanti sicuramente non farà scatenare alcuna scintilla. Lui, invece, è il simbolo, forse più genuino e limpido, di quella pagina oscura (si, dobbiamo avere il coraggio di dirlo) chiamata Resistenza. È una delle più giovani vittime della lotta partigiana al nemico nazifascista, nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale.
Già, perché questo giovanotto è stato strappato alla vita dalla crudeltà umana a soli 14 anni. Quando alla Liberazione mancava meno di un mese.
Nato a Malvicino, un Comune alle porte di Alessandria il 7 giugno 1930, è stato fucilato dai nazifascisti a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945.
La sua storia si segnala, però, dal 1943, quando ad Albenga, sempre in Liguria, ha conosciuto il movimento di Resistenza dove vi è entrato con l’incarico di staffetta. Poi, qualche mese dopo, è entrato a far parte di una formazione partigiana dell’entroterra savonese, come combattente, assumendo lo pseudonimo di “Baletta” che in dialetto locale vuoi dire “pallina”, in considerazione della sua giovane età e della vivacità del suo comportamento.
Ebbene, Pallina e altri dieci partigiani, nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1945, sono stati attaccati prima e catturati poi da un gruppo di soldati nazifascisti.
I suoi compagni sono stati trucidati subito, lui no. Il nemico gli ha riservato un trattamento di (s)favore.
Roberto è stato, inizialmente, risparmiato nella speranza che potesse diventare una talpa davanti alla morte. Rivelare posizioni ed entità della sua formazione. Per tre lunghissimi giorni, allora, è stato sottoposto a interrogatori e torture senza aprire bocca. Vista inutile ogni violenza, allora, il 28 marzo 1945 è stato fucilato e crocefisso.