Questa è la storia di una donna che, per fortuna, nessuno ha mai dimenticato.
Questa sera, per esempio, Canale 5 la ricorda con un film con Cristiana Capotondi. Prima ancora, però – siamo nel 1988 – Sergio Nasca le ha dedicato “La posta in gioco”, tratto dal libro omonimo del giornalista Carlo Bollino, che ne racconta la vita intervistandone i familiari.
E, per fortuna c’è tanto altro. Ultima – ma non tale – persino una orchidea, ma anche quattro libri, un lungometraggio, una graphic-novel.
Lei è Renata Fonte, strappata alla vita a soli 33 anni perchè aveva deciso di tenere testa e schiena dritta contro i poteri forti della sua città, Nardò. Poteri forti legati alla criminalità mafiosa del posto, che ambiva anche all’edilizia.
A costruire. Alla speculazone edilizia. Soprattutto su Porto Selvaggio, dal 2006 diventato Parco naturale, e dove c’è una stele commemorativa in sua memoria.
E lei – ma vale la pena ricordarlo? – spesso ha combattuto da sola e contro tutti affinché lo scempio ambientale fosse evitato. La Mafia, però, non ci ha pensato un istante a eliminarla, quella notte del 31 marzo 1984.
Renata nasce a Nardò il 10 marzo 1951. Neanche maggiorenne incontra Attilio Matrangola, sottoufficiale dell’Aeronautica militare che diventerà suo marito nell’agosto 1968. Fin da subito capisce che la sua passione è l’insegnamento, e dunque è docente alle Scuole elementari della sua città natale, e studia Lingue e Letterature straniere all’Ateneo leccese.
Ben presto, però, al suo mestiere aggiunge la passione per la politica, e inizia a essere presente alle battaglie civili e sociali di quegli anni, anche forte degli insegnamenti di Pantaleo Ingusci, avvocato e storico antifascista salentino.
Si iscrive all’Unione donne italiane (U.D.I), e dirige il Comitato per la tutela di Porto Selvaggio, minato e mirato dalle lottizzazioni cementizie.
Nel 1982, a soli 31 anni, si candida alle elezioni amministrative con il locale Partito repubblicano italiano. Viene eletta e diventa – primo caso per il P.R.I – dapprima assessore al Bilancio, e poi alla Pubblica Istruzione, Cultura, Sport e Spettacolo.
Quegli anni, i primissimi anni ’80, sono particolarmente difficili per Nardò, travolta da continue e soffertissime battaglie politiche, e Renata inizia a opporsi, con tutte le sue forze, alla speculazione edilizia di Porto Selvaggio, scoperchiando via via grossi illeciti ambientali.
Mettendosi di traverso contro i potenti, potentissimi della città e del Salento, diventando in brevissimo tempo un loro avversario irriducibile.
E perciò da eliminare.
È il 31 marzo 1984. Una sera normale, almeno all’apparenza. Il giovane assessore rientra da una seduta di Consiglio comunale, e viene freddata davanti al suo portone di casa con tre colpi di pistola da due uomini.
È la prima vittima di Mafia in Salento. E per di più donna. Lascia due figlie: Sabrina e Viviana.
A eliminarla, secondo i giudici, fisicamente sono stati Giuseppe Durante e Marcello My, materialmente Antonio Spagnolo, suo compagno di partito, che da tempo pare nutrisse un senso di risentimento nei suoi confronti.
Alla sua morte – il cui movente, anche abbastanza incredibilmente, non è stato mai confermato – è assai probabile, però, che abbiano partecipato altri personaggi, però mai riconosciuti e identificati.
In sua memoria, la sua città le ha dedicato una piazza e la Sala consiliare. Nel 1998, invece, è partorita l’associazione “Donne insieme” con l’intento di promuovere la legalità e non violenza sul territorio. Da una intensa collaborazione con la Procura nazionale antimafia, la Questura e il Pool Antiviolenza del Tribunale, nasce la “Rete Antiviolenza Renata Fonte”, primo Centro antiviolenza, riconosciuto dal ministero dell’Interno in collaborazione con il ministero delle Pari Opportunità.