Anche quella di questa domenica, la prima del mese di luglio, entra di diritto nella categoria delle “tragedie”. E, come spesso accade in questi casi, pure (volutamente) sottaciute, nascoste e messe sotto la sabbia. Tutto durante gli ultimi anni della Guerra fredda e in una Unione sovietica ormai sul viale del tramonto.
Già, oggi andiamo lì, dove il 20 ottobre 1982 si è verificata la più grande catastrofe del pallone locale. Sessantasette tifosi (ma c’è chi parla di 300, addirittura) che hanno perso la vita uscendo dalla tribuna dell’allora stadio “Lenin” (oggi “Luzhniki”) di Mosca, dove avevano assistito all’incontro tra lo Spartak e gli olandesi dell’Harleem.
Nell’ottobre 1982 l’Unione Sovietica si trovava in condizioni di salute estremamente precarie. I perché sono presto spiegati: l’embargo americano, attuato per ritorsione all’invasione dell’Afghanistan del 1980; il ritardo accumulato nella corsa alla tecnologia; la corruzione ormai endemica e la crisi del modello socialista agli occhi dell’opinione pubblica mondiale la stavano portando a chiudersi sempre più in se stessa. E anche la salute del loro leader, Leonid Breznev, è tutt’altro che ottima, nonostante la Pravda cercasse di minimizzare e tranquillizzare l’opinione pubblica.
È un periodo in cui, insomma, non sono e non possono essere accettati episodi che potrebbero, in qualunque maniera, gettare cattiva luce sull’Unione Sovietica o trasmettere segnali di debolezza. Da qualunque settore essi arrivino.
Così, il 20 ottobre 1982, nello stesso impianto che due anni prima aveva ospitato le Olimpiadi, si gioca una partita valida per l’andata dei sedicesimi di finale di Coppa Uefa. Quella sera, nonostante i dieci gradi sotto zero, sono presenti comunque oltre 15mila tifosi ad assistere alla partita, tra i quali un centinaio di coraggiosi supporter olandesi.
Gli spettatori vengono concentrati unicamente sulla Tribuna Est, anche perchè buona parte delle gradinate dell’impianto, che ha una capienza massima di 80mila persone, è ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio.
Tutto scorre come una normalissima partita, ma la storia cambia a pochi minuti dalla fine. Una buona parte dei tifosi inizia a defluire, ma i padroni di casa segnano il raddoppio. E così gli spettatori già fuoriusciti tentano di rientrare in tribuna avendo sentito il boato di quelli rimasti sugli spalti, ma la polizia – che non sapeva assolutamente come comportarsi – fa muro, bloccando i tifosi che cercano di rientrare all’interno dell’impianto e comprimendoli (probabilmente, perché non lo dice alcun rapporto) nell’unico tunnel di uscita lasciato aperto.
La calca che si genera fa sì che molte persone rimangano schiacciate, mentre alcune tra le poche riuscite a tornare sugli spalti sono vittime del fondo ghiacciato. Nel frattempo, le ambulanze iniziano ad arrivare allo stadio.
Il giorno dopo, il quotidiano “Il Vespro di Mosca”, riporta in modo molto generico di “qualche incidente che ha comportato lesioni ad alcuni tifosi”, guardandosi bene dall’entrare nei dettagli. Gradualmente, però, l’inchiesta sul disastro ammette che in quella tragica serata sono rimaste uccise 67 persone anche se, Andrej Chesnokov, ex tennista e testimone oculare di quella sera, afferma di aver contato tanti cadaveri da poterci riempire due campi da tennis. Avrà ragione? La verità è che le autorità sovietiche hanno insabbiato per anni i reali numeri della vicenda, e ancora oggi gli storici faticano a ricostruire le effettive proporzioni della strage. Sembra che addirittura alcuni funzionari, su ordine diretto del Cremlino, avrebbero compilato falsi certificati di morte, in modo tale che i decessi di molti spettatori venissero spostati in altri luoghi e in altre circostanze.
Solamente nel 1990 c’è la costruzione di un monumento commemorativo all’esterno dell’impianto, e nel 2007 gli ex giocatori delle squadre coinvolte si sono ritrovati al “Luzhniki” per una partita amichevole, ma soprattutto per commemorare tutte le vittime.
La chiosa, però, mette i brividi: ancora oggi nessun responsabile di alto livello ha chiesto scusa per questa tragedia.