Per capire tutta la grandezza che circonda Franca Viola sia come donna, sia come simbolo – anzi simboli – sia come valore, sia come storia in sé, dobbiamo partire da una data e da un numero. Una delle tante che incontreremo in questa pagina di tutto del nostro Belpaese. Fino al 1981, infatti, nel codice penale vigeva un articolo che diceva questo: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. Diceva, quindi, tradotto per i non giuristi, che una persona colpevole di stupro poteva evitare di andare in prigione se sposava la persona che aveva stuprato. Matrimonio riparatore, si chiama(va).
Lei, invece, non lo ha fatto. Si è opposta al codice e all’insieme delle regole del gioco della società dell’epoca. Quella degli anni ’60, che sulla scia e sull’eco del centrismo, voleva e doveva modernizzarsi. Anche sulla emancipazione e sui diritti delle donne, sul quale era un passo indietro rispetto al resto del vecchio continente.
E lei, appunto, questa donna nata nel 1948 ad Alcamo, nel trapanese, nel bel mezzo di un’altra riforma, quella agraria, e per giunta da una famiglia di coltivatori diretti, da decenni è considerata un esempio di emancipazione, talmente tanto grande da essere stata insignita, l’8 marzo di cinque anni fa, dell’onorificenza di grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana dal presidente Giorgio Napolitano.
Le date, dicevamo prima. Dal 1981 scendiamo fino al 1965. Ab origine, dunque. È il giorno di Santo Stefano e Filippo Merola, membro di una famiglia benestante e pure mafiosa, ed ex ragazzo di Franca – era stato il padre di lei a volere la rottura del rapporto -, fa irruzione in casa Viola e rapisce l’ex ragazza. Agisce con 12 compagni, aggredisce la mamma dell’ex fidanzata e porta via anche il fratello, Mariano, di appena otto anni, che però rilascia poco dopo. La sorte che tocca a Franca invece è ben diversa: picchiata, lasciata senza viveri e segregata per otto lunghissimi giorni.
Il 1° gennaio 1966, i parenti di Melodia contattano la famiglia Viola per proporre loro il matrimonio riparatore. Papà Bernardo fa finta di accettare, e d’accordo con la polizia, il giorno dopo avviene l’irruzione nell’abitazione dove Franca è tenuta prigioniera e arrestano Melodia.
La famiglia Viola, in realtà, rifiuta seccamente il matrimonio riparatore e Filippo finisce alla sbarra insieme ai complici. È condannato a dieci anni di carcere, ma quando ritrova la libertà è ammazzato a colpi di lupara.
La vita di Franca, invece, ha già preso un’altra piega. Bellissima, per fortuna. Restando nella sua Sicilia e sposando, già nel 1968, Giuseppe Ruisi, suo compaesano e dal quale ha due figli. Ma c’è anche di più: il suo gesto, il suo coraggio, la sua volontà di andare contro le regole e le convenzioni, fanno sì che la norma del codice civile è abrogata nel 1981. Oltre a fare scuola.
E ha pure ispirato un film, “La moglie più bella” di Damiano Damiani del 1970 con una giovanissima Ornella Muti come protagonista.
“Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori”.
Così, qualche anno dopo, in una delle poche interviste concesse, Franca ha parlato di quella incredibile esperienza.