I loro nomi e volti ci pensa Twitter a ricordarli. L’account “St.Louis Manifest”, che conta quasi 850 cinguettii e 64.600 followers. A crearlo, nel gennaio di due anni fa, un certo Russel Neiss, attivista ed educatore ebreo.
La data non è casuale. Negli Stati Uniti, il presidente Donald Trump si stava scagliando contro i rifugiati di alcuni Paesi, con la precisa volontà di impedire loro l’ingresso. Una storia che si ripete, secondo Neiss.
Ebrei, allora. Sono loro i protagonisti di questa triste pagina della storia del ‘900. C’è una barca, la St.Louis, che si è vista rifiutata proprio lì, sulle coste degli Stati Uniti d’America. E poi la speranza che svanisce insieme ai sogni di gloria. Con la conseguenza di una tragica fine che si poteva tranquillamente evitare.
Non andiamo tanto indietro nel tempo. Dobbiamo fermarci a 80 anni fa.
Il calendario segna 13 maggio 1939. Si capisce che la Germania hitleriana sta per scatenare il finimondo, vent’anni dopo il primo, e la persecuzione razziale è già bella avviata. Amburgo, il porto più grande della Nazione. Pronto a salpare c’è un transatlantico, St. Louis, guarda caso tedesco. La sua destinazione è l’Occidente. Cuba prima e gli States poi. A bordo 937 persone, per lo più ebrei, che cercano di scappare da una terra che non li vuole più.
I primi problemi già si manifestano ab origine, perché prima di partire ci si accorge che molti passeggeri possiedono certificati di sbarco scaduti, e questo avrebbe costituito un problema non da poco una volta giunti a Cuba. Dove, tra l’altro, anche per colpa di una lunga campagna denigratoria della stampa locale, si era già diffuso un alto sentimento di antisemitismo, che aveva lanciato la convinzione che gli ebrei togliessero il posto di lavoro agli autoctoni.
Ma questo non preoccupa gli ebrei a bordo della nave, perché Cuba – sono convinti – è sempre meglio della Germania.
Una volta arrivati lì, però, soltanto 28 passeggeri scendono dalla nave ed entrano, per gli altri non c’è posto e spazio.
Vanno negli Stati Uniti, allora. Già intravedono la libertà – sono passate alla storia quelle facce che la sentivano guardando al di là dell’oblò – e l’inizio di una nuova vita. Ma così non sarà. Vicino alla Florida, inviano una richiesta di aiuto direttamente al presidente, Franklin D. Roosevelt, che fa sapere loro una cosa per nulla carina. Tutti coloro che sono a bordo dovranno iscriversi e attendere il turno per ottenere il visto. Una beffa clamorosa. Si tenta allora di andare in Canada, ma neanche lì c’è posto per gli oltre 900 rifugiati.
Tre clamorosi rifiuti. Che fare, allora? Si torna in Europa e, dopo un mese di incertezze, salpa ad Anversa, in Olanda. Dove qualcuno ha pietà di loro, perché quattro Paesi decidono di abbracciarli. La Gran Bretagna, l’Olanda, il Belgio e la Francia. Gli “inglesi”, a parte uno morto per colpa di un raid aereo, si salvano tutti, mentre per tanti altri il destino è stato atroce perché colpiti dalla pazzia e dalla follia nazista.
Come passare da un oblò a un campo di concentramento.
E i numeri sono da lacrime: 532 passeggeri della St. Louis, invece, sono imprigionati dai nazisti. Solo 278 di questi sopravvivono all’olocausto. Gli altri 254 sono morti nei campi di sterminio.
Il Transatlantico è stato distrutto nel 1952, mentre il suo capitano, il tedesco Gustav Schroder è stato nominato come Giusto tra le Nazioni al museo dell’Olocausto in Israele nel 1993.