Tutte le volte, da 39 anni, l’8 gennaio non è mai una data normale per Bitonto. Perché si riapre, copiosamente, una ferita che gronda ancora sangue. Uno strazio al nostro cuore che non conosce sosta. Una offesa che mai dimenticheremo. E che riemerge ogni qualvolta entriamo a Palazzo Gentile, la casa comunale, dove, sul lato sinistro, sindaco, famiglia e forze dell’ordine rendono, puntualmente, omaggio a quella lapide commemorativa.
Oppure recandoci ad ammirare quella stele che si staglia in piazza Caduti del terrorismo. O, semplicemente, passeggiando in quella strada – una traversa di via Donato de Capua – che porta il suo nome. Come anche la locale sezione dell’Associazione nazionale della polizia di Stato, l’Anps.
Lui è Michele Tatulli, un figlio della città dell’olio e del sollievo. Un’altra vittima di quella terribile stagione del nostro Paese comunemente denominata “anni di piombo”. Più semplicemente, terrorismo. Che ha insanguinato il Paese dal 1969 al 1980. Da piazza Fontana alla stazione di Bologna, non risparmiando politici, giornalisti e tutti coloro che servivano lo Stato.
Già, servire lo Stato. Perché il nostro Michele era un ragazzo che aveva deciso di entrare in Polizia, come tanti suoi coetanei di quegli anni.
Un giovane, purtroppo, strappato alla via troppo presto. Alla tenera età di 24 anni.
La data è di quelle che da tempo, appunto, abbiamo impresso nella memoria: 8 gennaio 1980. Siamo a Milano, in via Schievano.
Sono le 8,15 del mattino. In quest’arteria della parte sud della città meneghina Michele Tatulli era con altri due colleghi, Antonio Cestari e Rocco Santoro, a bordo di un’auto civetta – una fiat Ritmo – e in borghese. I tre poliziotti, in servizio al commissariato di Porta Ticinese della questura di Milano, sono impegnati in quello che credono essere un normale e ordinario giro di perlustrazione della città. Ma non si accorgono di essere tallonati da un’altra macchina, una 128 bianca, su cui siedono Barbara Balzerani, Mario Moretti, Nicolò De Maria, Nicola Gianicola, quattro brigatisti.
Improvvisamente, l’utilitaria dei poliziotti è speronata proprio dalla 128 bianca. Siamo in via Schievano, a due passi dal sottopasso di viale Cassala.
In pochi secondi, un dramma si consuma. I quattro rappresentanti delle Br sparano una raffica di colpi con armi automatiche e per Tatulli, Cestari e Santoro non c’è nulla da fare. Non hanno neanche il tempo di reagire e muoiono sul colpo riversi sui sedili.
Una lapide ricorda quell’efferato pluriomicidio, profanata da vandali nell’aprile del 2005. Tutti e tre sono medaglia d’oro alla memoria e al valore civile.
L’attentato è compiuto perché i brigatisti vogliono dare il loro saluto a Carlo Alberto Dalla Chiesa, il generale dei carabinieri da poco arrivato a Milano al comando della divisione Pastrengo.
A distanza di quasi 40 anni da quell’indimenticabile accaduto, tenendo sempre a mente che si deve ricordare e tenere a mente, ci si domanda ma che cosa è davvero rimasto del suo esempio? I giovani di oggi, campioni nello stare su Facebook e sui Social, conoscono davvero la storia? E noi stessi ne siamo degni?