“Soppresso“.
Come un treno che non doveva partire.
Come una cosa da cancellare per sempre.
Come un essere umano da annichilire.
È questo – “soppresso” – il termine che designa il destino, crudele e assurdo, che toccò al bitontino Francesco Battaglia e ad altre 8000 persone tra uomini, donne e bambini, che furono trucidate nel lager di Bolzano, al tramonto della Seconda Guerra Mondiale.
Nel terribile Polizeiliche Durchgangslager Bozen giungevano, dopo arresti e rastrellamenti, ebrei, esponenti dell’opposizione clandestina, che si erano espressi contro l’ideale razzista del nazismo, prigionieri di guerra, criminali comuni, nazisti e fascisti che erano stati puniti, ostaggi e cosiddetti “internati casuali”, ai quali i motivi dell’arresto spesso erano ignoti.
Il campo di concentramento bolzanino, in quanto di transito, fu un importante volano della macchina delle SS tra l’Italia occupata e la Germania nazionalsocialista. Chi ci passava, poi veniva trasferito al lager di Mauthausen.
Il nostro concittadino Francesco Battaglia, nato il 6 settembre del 1916, era primo aviere motorista e da tutti veniva chiamato “il bravo ragazzo” – importante annotazione di valore morale dello scrivano tedesco che approntava le schede, per solito asettiche, degli prigionieri.
Era stato catturato coi compagni, quasi certamente sorpresi dalla firma dell’armistizio dell’8 settembre e pronti a collaborare col movimento resistenziale, a Padova nel marzo 1944 dalla banda del Maggiore Carità.
Ulteriore, dolorosa parentesi.
A dispetto del nome beffardo, la Banda Carità era la denominazione gergale con la quale divenne noto il Reparto dei Servizi Speciali di Firenze, poi rinominato Ufficio Polizia Investigativa, formalmente dipendente dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), fondato e capeggiato dal comandante Mario Carità, nel corso dell’ultimo biennio della seconda guerra mondiale.
Fu il gruppo che inflisse i maggiori danni all’organizzazione partigiana in Toscana e nel Veneto. Era il braccio armato dell’antiresistenza e i suoi metodi erano brutali e includevano attentati, infiltrazioni, provocazioni, esecuzioni sommarie e l’uso costante della tortura.
Battaglia fu fucilato dagli uomini della Gestapo e sepolto in una fossa comune il 12 settembre del 1944, una settimana dopo aver compiuto 28 anni appena – oggi sarebbe un giovane, allora era un uomo fatto -, in quel rettangolo di grigiore e nulla di 91 metri per 161, circondato tutt’intorno da fil di ferro come una interminabile corona di spine, in via Resia a Bolzano.
Oggi, 27 gennaio 2017, Giorno della Memoria, ricordiamoci di non dimenticare il sacrificio del nostro Francesco e di tutti coloro che furono assassinati dalla follia omicida nazista.