Quarant’anni…
Ieri notte erano le 2,14 a tutti gli orologi. Un fulmine ha squarciato il cielo nuvoloso ha attraversato i rami spogli del tiglio infreddolito ha frantumato i vetri della mia finestrella sul giardino solitario di casa si è conficcato nel cuore con tutte le scaglie taglienti più delle lacrime. “Sono Manuela. Nico non c’è più…”. E, per andare in deviazione, come da bambina, dopo ogni perdita, ogni addio, ogni treno a portare via mia madre, col cuore in frantumi io canto. Con le scaglie di vetro e di lacrime taglienti a straziarmi l’anima, io canto “Bésame, bésame mocho/ como si fuera esta noche/ la ultima vez…”, la canzone che a Nico piaceva tanto. Tanto da farne oggetto di una sua dolente poesia: qui attenderò la dama di ghiaccio/ per l’ultimo appuntamento./ Le tenderò la mano/ e ballerò con lei/ e confondendo passi e respiri/ valicheremo i confini del Nulla/ al suono di una musica lontana/ che lentamente si spegne,/ come vita che fugge via dalle vene. (“Como si fuera esta noche la ultima vez” in Nico Mori, Al confine di me, SECOP Edizioni 2015).
E nel canto ti incontro la prima volta, fine anno 1982, in un luogo non luogo che si perde nella memoria dei tempi, dove presentavi la tua prima ironica, scanzonata, leggera come piuma di sorriso, silloge di poesie Non chiamarmi superficiale, e Tea rideva complice di tanta sfrontata dichiarazione di concupiscenza amorosa verso le tante donne che elencavi sornione e compiaciuto. Ma era lei che avvertivi, con una metafora bellissima, quasi carboni ardenti a bruciarti le mani, che sarebbero diventate di gelo se l’avessi lasciata andare. Simpatizzammo subito. Anche io stavo per pubblicare il mio primo libro di poesie e fosti tu a presentarlo nella Sala degli Specchi del Palazzo di Città della mia Bitonto. Cominciò così un sodalizio amicale e letterario che vide coinvolti, Primo, il mio difficile quanto geniale compagno di vita per circa mezzo secolo, e Anna Maria, mia amarissima sorella, ugola graffiante alla Joan Baez e chitarra tra le mani ad accompagnarla tra sogni d’anima e dolore, in tutte le nostre antiche sere di poesia, nelle salette culturali, nelle nostre case accoglienti e un po’ pazze di risate e di allegria, negli impervi luoghi, dove la dignità umana era una rosa coltivata nel giardino da mani ergastolane, e tenere di improvvisa scoperta di poesia. Dove la mente era solo una scheggia impazzita alla mercé degli psicofarmaci. Dove il corpo era umiliato e deriso per delle disabilità evidenti o nascoste ad occhi disattenti. Dove i bambini ti attendevano per imparare a sognare in rima dopo le regole di grammatica e dei numeri sempre uguali.
Sulle ali del canto e del dolore, sulle nostre parole poetiche ad una voce si rinsaldavano emozioni, sentimenti, si intrecciavano fili di luminosa seta e ruvida canapa come gòmena indissolubile d’amicizia vera, pura, disinteressata, generosa. E i nostri figli sono diventati adulti con noi, nelle nostre case, mentre i tuoi capelli e quelli di Primo e di altri compagni di avventura letteraria si facevano sempre più radi e più bianchi. Non i miei e quelli di Anna Maria, in debito con magiche pozioni coloranti a restituirci una illusione di eterna giovinezza.
Confidenze in andata e ritorno e lunghi silenzi di lunghe delusioni, amarezze, disincanti, oltre l’incanto di ogni voce, di ogni poesia. E chi nasce poeta muore poeta. Attinge dalle stelle e alle stelle ritorna con cuore bambino.
Il più lungo silenzio, durato troppo a lungo per ricordarlo, ti vide superare le prime avvisaglie del tempo che non perdona; vide Primo superare le prime avvisaglie del tempo che non perdona fino a cedere alla curva degli anni, neanche poi tanti, ma quanti bastano alla “dama di ghiaccio” per recidere il filo. Un tempo lungo che vide anche me combattere ad armi impari un feroce duello con la stessa crudele Signora. Ma avevo Angeli a difendermi in terra e in cielo. Soprattutto in Cielo. E sono ancora qui, quasi un “miracolo vivente”. Detto persino dai chirurghi che mi hanno raccolto sulla riva di ogni deriva. E io credo agli Angeli e ai Prodigi. Ma forse il miracolo è avvenuto anche per te: le tue devastanti sofferenze imploravano un riposo, invocavano un silenzio, vagheggiavano un mare di meraviglie capovolto nel Cielo di ogni approdo. E la “dama di ghiaccio” è venuta in questa fredda notte d’inverno a esaudire il tuo sogno innevato e stanco. Spero che sia così. Mancava un poeta dalle ali d’angelo e dalla risata carica di ironia per sentire nuove ali e nuove battute dove tutto è umano e divino insieme.
E oggi, dopo il tempo del nostro ritrovarci come se il tempo non avesse mai intrapreso il viaggio lungo quanto lungo e immenso il mare da te attraversato con totalizzante passione, da me amato con immenso amore, è tempo di ricordare.
Fu di nuovo subito Scrittura, subito Poesia. Abbiamo scritto ancora e ancora pubblicato. Io ho scritto le prefazioni ai tuoi nuovi libri. Tu, ancora una volta, ha presentato il primo volume del mio secondo romanzo. Bellissima sintonia, che ha stretto in una carezza leggera come soffio di vento quarant’anni di canto e incanto. Due anni di tribolazioni e croci inchiodate ai nostri corpi e ancor di più alla nostra anima, anime gemelle anche nella sofferenza e nel dolore.
Tu capitano di lungo corso e pescatore di meraviglie, con il tuo fraterno amico cileno Herman Rojas, fino a questa notte. Quanta complicità di sogni e poesie tra voi!
Quanta complicità di sofferenze e poesia tra noi: Tu sei l’amica più cara che ho anche perché la vita non ti ha risparmiato sofferenze e queste soltanto raffinano l’animo e la sensibilità non la gioia. Sapevo che avevi ragione.
E io fino a una settimana fa a fingere, con la morte nel cuore, una resurrezione che non avrebbe visto la nuova alba di oggi: tieni duro. Vai avanti con il coraggio che hai sempre dimostrato. A casa, fra le tue cose e le persone care, sarai più motivato a non lasciarti andare allo scoramento. Tienimi informata. Ti/vi abbraccio tutti.
Senza una tenerezza in più per non cedere al pianto. Ma tu sapevi già che per la prima volta ti stavo mentendo.