Quando domani, nel reparto di Ortopedia della clinica romana del “Bambin Gesù”, rimuoveranno l’ingessatura al braccino di Francesco (nome di fantasia), il piccolo potrà tornare a giocare e a scorrazzare, e il padre Antonio finalmente tirerà un sospiro di sollievo.
Sarà, infatti, l’ultimo atto di una incredibile odissea iniziata più di un mese fa, il giorno di Ferragosto per la precisione.
“Il 15 agosto scorso – principia il racconto il signor Antonio Milo, con parole piene di rabbia – mio figlio cade per strada e si fa male ad un braccio, mentre stavo parlando con un amico. Che, subito, mi accompagna all’ospedale San Paolo di Bari. La solita trafila: accettazione al pronto soccorso, radiografie, saliamo ad ortopedia. Il primario di turno legge le lastre, diagnostica una lussazione e si va in sala gessi per il riposizionamento dell’osso“.
Ed è qui che comincia la sequela di dolorose stranezze: “L’ortopedico prima ci consiglia di ripassare una settimana dopo per il controllo, poi d’improvviso ci convoca per il giorno seguente perché voleva rivedere il bambino. Forse, non lo convince il gesto che lui stesso ha fatto per rimettere a posto l’osso. Il 16, dopo un ulteriore controllo, si fanno nuove lastre. La lussazione incredibilmente diventa frattura e ci invita a recarci al Giovanni XXIII da un altro specialista. . Qui, cinque o sei medici hanno studiato con attenzione le lastre. Alle 13.30, dopo ore di attesa, chiedo cosa fosse successo e mi dicono: ‘ma, per caso, gli hai tirato il braccio? Perché va operato immediatamente’. Alle 16.30, mi riferiscono che non sanno dove operarlo perché il personale del reparto è in ferie. No, non è possibile: è urgente intervenire, ma non sanno dove farlo“.
La disperazione s’impossessa del padre: “Chiamo il 113, ma dalla questura mi rispondono che hanno il problema del carburante scarso e che non si muovono per queste inezie. Mi arrabbio e di lì a dieci minuti arrivano. Insomma, niente da fare a Bari. Per evitare che peggiori la cosa, ho tre opzioni: portare il bimbo in una di queste città: Roma, Firenze o Napoli.
Per di più, neppure il trasferimento mi avrebbero fatto. Ho preso tutta la documentazione e sono andato via, un amico mi ha prestato l’auto e son volato il 16 stesso a Roma, perché lì abita mia sorella“.
Un raggio di luce in fondo al tunnel: “Al Bambin Gesù mi hanno accolto con grande professionalità e umanità. Ma mi ha fatto male soprattutto sentire questa frase detta dai medici romani: “Queste cose succedono solo in Africa, dove si trova un pronto soccorso a distanza di 5 ore di viaggio”. Ed hanno aggiunto amaramente: eppure a Bari sono in gamba”. Dunque, il 21 viene operato mio figlio e si pone rimedio al distacco del condilo“.
La conclusione di Antonio ci deve far riflettere sullo stato comatoso della sanità pugliese, al netto delle parole dei politici: “Ora, se non avessi avuto amici splendidi, una parente a Roma e una piccola disponibilità economica, anche se sono disoccupato da un anno e mezzo, come avrei fatto? Mio figlio sarebbe rimasto storpio per tutta la vita?“.