Disastro aereo di Capo Gallo, quattordici anni dopo. Ogni volta, un dolore profondo che si rinnova, non senza qualche imprevedibile scia di amarezza.
Spieghiamo il perché. Il tragico incidente, avvenuto il 6 agosto 2005 nelle acque siciliane, causò la morte di 16 persone (14 pugliesi) e il ferimento di altri 23 passeggeri.
Piloti, tecnici e dirigenti della Tuninter, riconosciuti responsabili della strage a vario titolo, sono stati condannati per “disastro colposo, omicidio plurimo colposo e lesioni gravissime colpose“.
Ora, però, gli stessi hanno avanzato domanda di grazia al presidente della Repubblica. Sarebbe un’autentica beffa per i passeggeri morti nell’ammaraggio del volo Bari-Djerba al largo delle coste di Palermo ed i loro familiari, che sono rimasti segnati indelebilmente dal dramma. Non è un caso che Rosanna Albergo Baldacci, madre di una delle vittime e presidente dell’associazione “Disastro Aereo di Capo Gallo” abbia fatto appello ufficialmente a Mattarella affinché non esaudisca le richieste dei colpevoli.
Ieri, alla cerimonia di commemorazione che, come di consueto, si svolge a Bari, nel parco di Punta Perotti, presenti anche il consigliere regionale Domenico Damascelli e l’assessore del Comune di Bitonto Domenico Nacci per ricordare la figura luminosa del nostro concittadino Enrico Fallacara. Che, fra i resti dell’aereo distrutto e le onde del mare aperto perse la vita, dopo aver salvato quella di altri sventurati passeggeri.
“L’ammaraggio non fu una disgrazia, fu il risultato di una somma di errori umani che si potevano evitare, e che fecero precipitare in mare l’ATR 72 partito da Bari in direzione Djerba. Ma c’è di più: non solo i colpevoli non hanno mai collaborato con la giustizia italiana durante il processo, ma hanno ostacolato le indagini. E l’esecuzione della pena non è mai avvenuta, nonostante la sentenza di condanna definitiva“, ha commentato Damascelli.
“Questo è l’inaccettabile epilogo giudiziario di una tragedia assurda. Comprendo il dolore dei parenti delle vittime, ne sono partecipe: è una ferita che non potrà mai chiudersi per tante vite spezzate. Vi sono vicino in questo anniversario, e mi unisco ancora una volta alla vostra battaglia per la giustizia e per impedire che si ripetano altri disastri dovuti a negligenza e imperizia umana“, ha concluso il politico azzurro.
“Sono presente alla cerimonia dal 2012, tranne i due anni in cui non sono stato assessore, perché sono legato da grande affetto alla famiglia di Enrico – ha ricordato l’assessore Nacci – e ho un amico fraterno tra i superstiti. Inoltre, l’alto esempio di Enrico è legato alla nascita di mio nipote (che si chiama proprio così: Enrico Fallacara). Ho detto, infatti, a mio cognato che suo figlio porta il nome di un eroe concittadino“.
“Ma tocca a noi – ha ammonito Nacci – lavorare affinché si ricordino gli eroi in vita e non da morti, a causa della scelleratezza umana dettata dal maledetto Dio danaro. Nessuno potrà ridare Enrico alla famiglia ma spero che giustizia soprattutto in questo caso venga fatta“.
E il rappresentante del Comune ha fatto la seguente, giusta proposta: perché non dedicare una strada ad Enrico Fallacara, l’impavido bitontino che, con sprezzo del pericolo, immolò la sua stessa vita pur di salvarne altre, in quel giorno maledetto?