Qualche anno fa scrissi per il “da Bitonto” (quando era solo cartaceo, i social
network erano forse solo nelle menti di audaci informatici e anche Internet,
almeno da noi, era all’inizio) un articolo dal titolo “Un blues per Bitonto”
(per la precisione, per il numero di febbraio/marzo del 1998), in cui mi avventuravo nella descrizione amara di
come vivevo la città in cui sono nato e che profondamente mi rattristava.
In
quel periodo raccontavo anche storie minime di solitudine, e sofferenza ma
anche di lotta e di riscatto all’interno di una città che, già allora,
inesorabilmente, si allineava a quell’onda di indifferenza e cinismo quale
status del contemporaneo.
Con il risultato di attirarmi gli strali di chi si
sentiva “toccato” nell’onorabilità e nella sua propensione al “fare”.
Poi, da un giorno all’altro (nel vero senso
dell’espressione) sono andato via da Bitonto; a bordo di una scalcagnata
Renault 5 sono andato a Nord, con le lacrime e la determinazione di un quasi
trentenne che lanciava a se stesso una nuova sfida (in parte persa, visto che
il parametro dell’immigrato al Nord per “realizzarsi” professionalmente è
rimasto disatteso, in quanto ancora oggi sono, lavorativamente parlando, un
precario).
Mi sono allontanato ma ho continuato a seguire,
amare e odiare, Bitonto, attraverso i racconti degli amici e dei parenti, oltre
che leggendo i giornali locali, le sue vicende, le sue cadute, ricadute, i suoi
tentativi di risorgere.
Visto da Nord, il Sud è bello, è un incanto, la
vita costa poco, si vive bene e sereni…
Questi luoghi comuni, associati a una
identificazione totale con l’idioma “alla Lino Banfi”, in questi 14 anni non mi
hanno dato tregua; ho conosciuto tante persone che, troppo spesso, hanno semplicisticamente
associato alle mie radici tutti questi oleografici elementi meridionali.
Come
quei registi, scrittori, disegnatori che non riescono, nel raccontare la nostra
terra, a prescindere dalle orecchiette, dai vicoli poetici, dalle lenzuola al vento,
dalla focaccia e da altre simili amenità.
Bitonto e il Sud sono (credo e spero) molto più di
una “gabbia” provinciale nella quale il crimine regna sovrano (è ciò che pensa
il mio medico, leghista, facendo finta, lui come tanti, di non vedere come la criminalità
si sia insediata alla grande anche nell’operoso Nord!).
Chi
legge queste righe, forse, si starà chiedendo dove voglio andare a parare…
Finora, su Facebook, non sono praticamente mai
intervenuto in “dibattiti” a volte fin troppo accesi per il “luogo” in cui si
svolgevano (durante la campagna elettorale per le ultime elezioni
amministrative ho assistito a scambi di un livello a cui preferisco non
attribuire aggettivi).
Ma oggi, 13 luglio 2013, pubblico questo testo,
scritto ieri in metropolitana tornando a casa, dopo aver visto i pochi minuti
del filmato sulla sparatoria del 2 luglio scorso.
Ho guardato più volte quei corpi sgranati che
impugnano delle armi e che sparano e un brivido mi è corso lungo la schiena,
mentre compulsivamente con il mouse riposizionavo la barra di scorrimento sul
momento del fuoco…
Penso (e ripenso) che questo, oggi, accade a
Bitonto, in quelle strade che ho percorso tante volte.
E non è un gioco, non è
un action movie, non è una goliardata come tante, finita su Youtube per un
pubblico cannibale, affamato di ogni possibile nefandezza.
Io (non) ho paura?
Al contrario. Ho paura per la
mia famiglia, per i miei amici, per la mia città (sì, la mia città), alla quale
(così pare dal mio “osservatorio” su al Nord) Michele Abbaticchio sta tentando
di imprimere un (a dir poco) faticoso cambio di marcia.
Ho paura e non me ne vergogno. Ho paura perché
nella mia vita sono stato un sognatore ma questa dura realtà di violenza, di
questo ostico quotidiano mi impone un realismo che non mi consente più di
essere lieve, ancor più nella mia nuova dimensione di padre.
Queste righe non richiedono commenti, “dibattiti”,
likes che lasciano il tempo che trovano.
Queste righe sono l’espressione di uno sguardo
preoccupato.
Quel “blues per Bitonto” scritto 15 anni fa peccava
di lirismo.
Questo, mi auguro non sia un requiem…
P.S.: “Il silenzio è un brivido caldo/ferisce i
pensieri” (cit. “Notte”, Seveneleven Undergröund”)